2009/03/30

Forum della Comunicazione '09: qualche riflessione

Venerdì ho partecipato al Forum della Comunicazione tenutosi al Palazzo dei Congressi di Roma.
Non l'ho vissuto al 100% perchè ho partecipato solo alla sessione pomeridiana, ma è stata comunque un'esperienza interessante.
Mi sarebbe piaciuto qualche approfondimento ulteriore, ma i tempi del convegno erano abbastanza stretti.
Ho apprezzato l'intervento di Layla Pavone che, per chi non la conoscesse, è il Presidente dello IAB, un'associazione che cura lo sviluppo del mercato in materia di advertising on-line.
Tema centrale del suo intervento è stata l'annosa questione del direct marketing, affrontata anche dagli altri relatori, tra cui cito l'Avvocato Maglio, che si è preoccupato di tracciarne i profili privacy.
L'associazione in argomento ha redatto infatti una sorta di codice deontologico destinato alle imprese che operano nel citato settore ed ispirato alla necessità di creare un tessuto di norme etiche e morali che ne indirizzino l'agire nel contatto con il cliente.
Per quanto giudichi FONDAMENTALE l'azione di tale associazione, negli intenti e nell'applicazione concreta, stante anche il numero di imprese che ad essa sono legate, non ritengo del tutto condivisibile l'affermazione del Presidente secondo cui "il mercato è in grado di regolarsi da solo".
Certamente è possibile creare un tessuto di norme all'interno del mercato stesso, specialmente se discorriamo di regole di condotta ispirate a criteri etici e morali. Ma non sono del tutto persuasa che tale sistema di regole possa ritenersi necessario e sufficiente allo scopo che si propone di raggiungere.
Accanto a regole autoprodotte occorrono anche norme provenienti da un soggetto esterno al mercato che sia in grado, grazie ad una visione d'insieme, di bilanciare gli interessi in gioco.
La preoccupazione che induce le imprese e gli esponenti di detta associazione a diffidare dell'imposizione di norme di matrice legislativa, attiene al rischio di veder soffocato il mercato da eccessi di tutela, del tutto ingiustificati.
Non si può certamente ignorare l'esistenza di tale rischio, ma ritengo che anzichè rifiutare l'intervento del legislatore sia più utile porsi criticamente dinanzi a tali interventi.
I codici deontologici autoprodotti dagli operatori del mercato sono utili, ma incontrano un limite oggettivo rappresentato da quel difetto di generalità ed astrattezza tipico invece delle norme legislative. Un limite che diventa ancora più evidente se pensiamo che spesso tali codici si applicano unicamente alle imprese che li sottoscrivono.
Possiamo dunque affermare il mercato è in grado di regolarsi da sè, solo se riconosciamo i limiti dell'autoregolamentazione.
Il che non significa naturalmente soggiacere passivamente alla norma eteroprodotta, ma anzi porsi in relazione dinamica con essa.
Ciò ci consente forse di fare un passo ulteriore, attribuendo un diverso significato all'autoregolamentazione.
Infatti potremmo dire che il mercato è in grado di autoregolarsi nel senso e nella misura in cui riesce a porsi in maniera attiva nel rapporto con gli organi legislativi al fine di manifestare le proprie istanze, e contribuire alla posizione della norma.
Soltanto a tale condizione d'altra parte si può far sì che la legislazione statale non soffochi la vitalità del mercato.
E', in soldoni, una questione di bilanciamento: la norma deve e può essere espressione delle molteplici voci in gioco: dei cittadini e delle imprese.
Un bilanciamento che sarà possibile solo se alla base di esso vi sarà una cooperazione fondata su un dialogo costruttivo e maturo tra le parti coinvolte, bandendo l'eterna oscillazione tra vuoti normativi ed eccessi di tutela, in una logica di efficienza e semplificazione.



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