2012/11/29

Internet: quale tutela per i minori?

Lo sviluppo di internet ha posto un ulteriore problema che attiene alla tutela dei minori. La libertà di manifestazione del pensiero attraverso tutti i mezzi di comunicazione e informazione, e dunque anche attraverso internet, incontra il limite della tutela dei minori, sancito dall’articolo 31 della Costituzione.
Con riferimento alla lotta contro la pedopornografia in internet, la legge 3 agosto 1998 n. 269 ha introdotto come apposita fattispecie criminosa quella di colui che con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, divulga e pubblicizza materiale pedopornografico ovvero divulga informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale degli stessi.
La medesima legge ha individuato inoltre i mezzi per contrastare tale fenomeno: in particolare, ha previsto che, su richiesta dell’autorità giudiziaria, il personale addetto a garantire la sicurezza e la regolarità dei servizi di telecomunicazione presso il Ministero dell’Interno possa utilizzare indicazioni di copertura, anche per attivare siti nelle reti, realizzare o gestire aree di comunicazione o scambio su reti o sistemi telematici ovvero per partecipare ad esse.
A ciò si aggiunga, in considerazione dell’ultraterritorialità delle comunicazioni telematiche, la disposizione concernente il fatto commesso all’estero: la disciplina contenuta in detta legge si applica anche quando si tratti di delitto commesso all’estero da cittadino italiano, o in danno di cittadino italiano, o da cittadino straniero in concorso con cittadino italiano; in quest’ultima ipotesi, però, con la precisazione che il cittadino straniero è punibile quando si tratta di delitto per il quale è prevista la pena della reclusione non inferire a cinque anni.
La disciplina per il contrasto alla pedopornografia in internet è stata ulteriormente rafforzata dalla legge di modifica 6 febbraio 2006 n. 38.
Quest’ultima ha istituito presso il Ministero dell'interno il Centro nazionale per il contrasto della pedopornografia su internet, al fine di raccogliere tutte le segnalazioni riguardanti siti che diffondono materiale concernente l'utilizzo sessuale dei minori.
Inoltre sono stati previsti specifici obblighi a carico dei fornitori di servizi della società dell’informazione: essi hanno un obbligo di segnalazione al Centro, qualora ne vengano a conoscenza, di qualsiasi soggetto che, a qualunque titolo, diffonda, distribuisca o faccia commercio di materiale pedopornografico.
I medesimi fornitori, al fine di impedire l'accesso ai siti segnalati dal Centro, sono obbligati ad utilizzare gli strumenti di filtraggio e le relative soluzioni tecnologiche conformi ai requisiti individuati con decreto del Ministro dello Sviluppo economico, di concerto con il Ministro per l'innovazione e le tecnologie e sentite le associazioni maggiormente rappresentative dei fornitori di connettività.
La tutela dei minori in internet rileva anche sotto un altro aspetto: l’accesso a contenuti destinati ad un pubblico esclusivamente adulto.
Al riguardo, il decreto legislativo 9 maggio 2001, n. 269 ha previsto la predisposizione di un nuovo Codice Media e minori, recante misure autoregolamentari applicabili non solo al settore televisivo, ma anche ai videogiochi, alla telefonia e, appunto, ad internet.
Attualmente esiste, accanto al Codice Tv e Minori, un codice di autoregolamentazione approvato dal Ministero dello Sviluppo economico nel 2003 e predisposto da alcune associazioni di internet providers.
Tale codice fornisce una serie di indicazioni vincolanti gli internet provider aderenti; tali prescrizioni attengono in particolare alla messa a disposizione di servizi di navigazione differenziata e di classificazione dei contenuti ad accesso condizionato, nonché all’impiego di identificatori d’età, al fine di evitare l’accesso dei minori a programmi ad essi inadatti; e da ultimo il rispetto di idonee misure volte a garantire la tutela della privacy, salvaguardando altresì i minori dai rischi della pedopornografia.

2012/11/15

Agenda digitale europea: novità in materia di diritto d’autore


L’evoluzione dei modelli di business e la crescente autonomia dei consumatori in ambito digitale impongono un costante monitoraggio della normativa vigente in tema di diritto d’autore, al fine di verificarne l’adeguatezza in relazione alla tutela degli interessi di tutti i soggetti coinvolti (titolare dei diritti, utilizzatore, consumatore).
La Commissione europea ha recentemente rilevato l’opportunità di un proprio intervento volto ad aggiornare ed armonizzare il quadro normativo vigente in materia.
Com’è noto, qualora si presti un servizio che comprende lo sfruttamento dell’opera protetta di un autore, come ad esempio un brano musicale, è necessario ottenere un’apposita licenza da parte dei titolari dei diritti (autori, interpreti o esecutori, produttori). Ed in alcuni settori, come in quello musicale, le società di gestione collettiva dei diritti svolgono un ruolo cruciale: esse, infatti, forniscono servizi sia ai titolari dei diritti sia agli utilizzatori, occupandosi tra l’altro della concessione di licenze, della gestione dei proventi dei diritti, dei pagamenti dovuti ai titolari dei diritti e l’esecuzione dei diritti stessi.
La Commissione si propone, dunque, innanzitutto di far sì che la gestione collettiva dei diritti divenga più efficace, accurata, trasparente e responsabile; e ciò in ragione del forte impatto che l’attività di tali società ha sullo sfruttamento dei diritti d’autore. Non si può ignorare, infatti, la preoccupazione destata da talune società in ambito europeo in relazione alla scarsa trasparenza e alla inefficienza manifestata nei rapporti, soprattutto economici, con i titolari dei diritti. Ciò che si traduce in un impatto fortemente negativo sul mercato.
Di qui l’obiettivo della Commissione di regolamentare in maniera puntuale e rigorosa l’organizzazione di tali società nonché l’adesione alle stesse basata su criteri rigorosamente oggettivi. Particolarmente rilevante, inoltre, è l’insieme di norme tese a garantire una gestione finanziaria efficace e trasparente: in tale ottica la Commissione propone, per un verso, che le entrate riscosse in seguito allo sfruttamento dei diritti rappresentati siano distinte dalle attività della società e siano gestite nel rispetto di condizioni rigorose e, per altro verso che le società di gestione paghino gli importi dovuti ai titolari dei diritti in maniera accurata e tempestiva.
Altrettanto fondamentale è la previsione di obblighi di informazione, tra cui rilevano in particolare: l’obbligo di informare i titolari dei diritti sugli importi riscossi e pagati, nonché sulle spese di gestione addebitate; l’obbligo di fornire tutte le informazioni richieste dai titolari dei diritti, da altre società e dagli utilizzatori; ed infine l’obbligo di pubblicare una relazione di trasparenza annuale ed i documenti di bilancio.
In secondo luogo, la Commissione mira a costruire, in ragione dello sviluppo di un mercato unico dei contenuti culturali online, un regime delle licenze sui diritti d’autore più agevole ed efficace, con particolare riguardo alle opere musicali in ambito transfrontaliero.
La frammentarietà territoriale dei servizi musicali online è accompagnata, infatti, da una frammentazione del mercato europeo con conseguente pregiudizio, da un lato, delle potenzialità
delle licenze in termini di portata geografica e compenso e, dall’altro, della fruibilità dei repertori musicali. Di qui, pertanto, l’intento di facilitare la concessione di licenze multi-territoriali da parte di società di gestione collettive per i diritti d’autore su opere musicali per la fornitura di servizi online. Ciò purché le società di gestione abbiano la capacità di trattare in modo efficace e trasparente i dati necessari per lo sfruttamento delle licenze, nonché di controllare l’utilizzo effettivo delle opere coperte dalle licenze e siano, infine, in grado di garantire pagamenti tempestivi ai titolari dei diritti.
La proposta di direttiva sopra esaminata rappresenta un passo molto importante nella revisione della disciplina del settore e, come era ragionevole attendersi, ha suscitato un acceso dibattito tra tutti i protagonisti coinvolti - in primis le società di gestione collettiva - ma l’ultima parola resta al Parlamento e al Consiglio Europeo che dovranno esprimere, nei mesi a venire, la loro approvazione.

DDL Diffamazione: un sospiro di sollievo per i blogger

Ancora una volta salvi! Il disegno di legge sulla diffamazione aveva fatto tremare nuovamente i blogger, per il timore di veder loro estese le norme previste per la diffamazione a mezzo stampa.
Tutti concordiamo sull’idea che talune attività svolte in internet debbano essere opportunamente regolamentate per la sicurezza degli utenti, ma c’è una sfera in cui occorre muoversi con prudenza, ossia quella della libertà di manifestazione del pensiero.
E la sensazione che si avverte è che la nostra società non sia ancora matura per una regolamentazione efficace ed equilibrata di tale ambito.
Non solo devono considerarsi le difficoltà connesse alla individuazione di un regime che tenga conto delle diverse esigenze di un mondo così variegato come quello dei blog e dei siti affini, ma più di tutto non può ignorarsi il rischio di un asservimento della disciplina legislativa a logiche estranee al mondo dell’informazione ed il rischio, ancor più grave, di una sua strumentalizzazione in fase applicativa; strumentalizzazione che, di fatto, potrebbe in taluni casi portare ad una vera e propria repressione della libertà di pensiero.
I blog rappresentano uno strumento di democrazia e, come tali dunque, devono essere improntati ad un regime di libertà. “Ogni persona ha diritto alla libertà d'espressione. E tale diritto include la libertà d'opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza considerazione di frontiera”. Questo è quanto statuito dall’articolo 10 della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo e questi sono i principi fondamentali cui, necessariamente, deve essere orientato il nostro ordinamento.
Con ciò non si vuol sostenere che la democrazia nella rete debba tradursi in anarchia: l’esercizio di queste libertà, infatti, comporta “doveri e responsabilità”, come recita lo stesso articolo innanzi citato. Doveri e responsabilità che si traducono, innanzitutto, nel rispetto della privacy e della reputazione altrui.
Il concetto di democrazia in internet trova, infatti, una duplice declinazione: libertà di pensiero e rispetto dei diritti dei terzi. Come conciliare e bilanciare queste esigenze?
La soluzione, intuitivamente, prima che legislativa è innanzitutto culturale; una soluzione che probabilmente richiede uno sforzo ben maggiore, ma che senza dubbio reca in sé un importante valore aggiunto in termini di crescita sociale.
In quest’ottica dovrebbe essere incentivato maggiormente anche il ricorso a codici di autodisciplina. Non mancano infatti esempi in cui l’autonomia e l’autoregolamentazione hanno condotto a risultati soddisfacenti, e ciò nella misura in cui sono riuscite a promuovere una vera e propria responsabilizzazione dei singoli.
L’intervento del legislatore sarà, dunque, ben accetto soltanto ove dettato da un bisogno imperativo che lo renda imprescindibile e purché contenuto nei limiti codificati dalla precitata Convezione; e ciò affinché si possa approdare ad un sistema di regole coerente ed equilibrato che, frutto di una intensa e mirata attività di studio e approfondimento, tenga conto di tutte le esigenze e di tutti gli interessi in gioco.

2012/10/12

Pubblicità televisiva: un nuovo format in arrivo!


Quando si pensa alla pubblicità televisiva la mente corre immediatamente agli spot tradizionali; eppure siamo in presenza di un mondo molto più ricco e variegato, un mondo che tende ad arricchirsi di soluzioni sempre più innovative.
Osservando il panorama non solo italiano ma anche europeo possiamo notare come il settore della pubblicità televisiva cerchi di rispondere con nuove risorse alla crisi che l’economia mondiale ha registrato negli ultimi due anni.
Non sono pochi gli ostacoli che le concessionarie si trovano oggi ad affrontare, in uno scenario caratterizzato non solo dalla timidezza delle aziende ad acquistare spazi pubblicitari, ma anche dalla forte crescita registrata dai media digitali.
Per un verso, infatti, non si può nascondere che la pubblicità televisiva, pur garantendo risultati incisivi, presenti dei costi maggiori, risultando addirittura proibitiva per le aziende di minori dimensioni, le quali tendono a ricercare soluzioni alternative nella realtà digitale.
Per altro verso neanche si può ignorare l’aumento dei contenuti fruibili sul web e la particolare attenzione rivolta a questi ultimi dagli utenti; circostanza che ha stimolato ulteriormente l’impiego della rete per la veicolazione di messaggi promozionali. Si pensi, ad esempio, alla grande crescita dei video on demand, soprattutto negli Stati Uniti, ove si stima che il valore potenziale delle inserzioni all’interno di tali video sia pari ad un miliardo di dollari.
Se questo è il panorama complessivo, non stupisce che le aziende del settore radiotelevisivo siano corse ai ripari con il lancio di nuovi format pubblicitari, che possano rendere il settore più dinamico e competitivo.
Un esempio è dato dal recente lancio di “Like”, il nuovo format firmato Sky e caratterizzato dalla diffusione di cortometraggi della durata di 120 secondi.
Le principali novità sono date innanzitutto dalla lunga durata del messaggio pubblicitario rispetto ai format tradizionali, nonché dal pubblico “specifico” cui tali comunicazioni promozionali sono destinate: i cortometraggi, infatti, pubblicizzeranno unicamente prodotti di lusso, dalla moda alla tecnologia, dalle auto al turismo. I messaggi, inoltre, non saranno veicolati unicamente sui canali televisivi ma saranno riproposti su un sito web dedicato, ove gli utenti potranno visionare i prodotti, scoprirne i dettagli e provvedere all’acquisto.
“Like” sintetizza, dunque, un nuovo modo di fare pubblicità, sfruttando tutte le risorse e i canali disponibili, coniugando il momento della promozione con quello della vendita e, soprattutto muovendo da un concetto chiave, oggi fondamentale: distinguere i target e offrire al pubblico esattamente ciò che desidera.





2012/07/26

Suoni, colori e profumi: la registrazione dei marchi non convenzionali. Parte Prima: I colori.



Quando parliamo di marchi, immediatamente pensiamo a disegni, parole o simboli con i quali un’impresa contraddistingue la propria attività. Tuttavia, in un contesto in cui il marchio rappresenta un vero e proprio strumento di comunicazione, l’immaginazione corre verso soluzioni innovative e fantasiose: suoni, colori, profumi che, in associazione ai prodotti di una determinata impresa, siano in grado di far leva sulla sfera emozionale del consumatore.
Soluzioni già attuali, altre future o futuribili. Tutte, in ogni caso, innovative.  Ma è possibile registrare marchi non convenzionali? Ed entro quali limiti?
L’articolo 7 del Codice della Proprietà Industriale stabilisce che: “possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa tutti i segni suscettibili di essere rappresentati graficamente, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, i suoni, la forma del prodotto o della confezione di esso, le combinazioni o le tonalità cromatiche, purché siano atti a distinguere i prodotti o i servizi di un'impresa da quelli di altre imprese”.
Secondo autorevoli giuristi l’articolo 7 contiene un elenco soltanto esemplificativo dei possibili marchi registrabili, il che apre senz’altro la strada alla registrazione di “segni” non convenzionali.
Partiamo dai colori, una delle ipotesi più intriganti, rinviando ai prossimi articoli l’analisi di suoni e profumi.
La strada per la registrazione di un marchio di colore, va detto, è irta di ostacoli ma rappresenta sicuramente una sfida per i professionisti del settore.
Naturalmente va precisato che le maggiori riserve attengono alla registrazione di colori puri e semplici e non già di combinazioni cromatiche, le quali –come segnalato– sono comunque contemplate dal Codice della Proprietà Industriale.
I detrattori ritengono che numerose ragioni ostino alla registrazione di un marchio di colore .
In primo luogo osservano che essa sia incompatibile con l’interesse generale alla salvaguardia della libera disponibilità dei colori da parte di tutti gli imprenditori, stante il numero ridotto della gamma di tinte esistenti. Un diverso ragionare, si osserva, potrebbe dar vita a situazioni, intollerabili, di monopolio all’interno dei singoli mercati.
In realtà tale preoccupazione è condivisibile solo in parte.
Certamente potrebbe assistersi ad una grave distorsione della concorrenza, qualora si registrasse un colore descrittivo e tipico di una classe di prodotti. Immaginiamo, ad esempio, la registrazione del marchio rosso per un vino dello stesso colore; o la registrazione di un marchio arancione per una marmellata di arance. In questi casi è evidente che verrebbero pregiudicati gli altri produttori delle medesime merci. Chiaramente diversa, invece, è l’ipotesi di un’associazione del tutto arbitraria e fantasiosa tra un prodotto o un servizio ed un colore che non sia “tipico” di quel mercato. E quanto più sarà libero e arbitrario il collegamento tanto più “registrabile” sarà il marchio.
Una prima obiezione sembra dunque superata. Ma è solo l’inizio.
Uno degli argomenti più difficili da superare sembra essere rappresentato dalla carenza di “distintività” del marchio di colore, e ciò quantomeno nella fase iniziale di commercializzazione del bene o del servizio. Si ritiene, cioè, che il colore, in assenza di altri elementi grafici, non sia in grado di far presumere di per sé l’origine imprenditoriale del prodotto: “i colori, se è vero che ben possono trasmettere talune associazioni di idee e suscitare sentimenti, per contro risultano poco idonei, per loro natura, a comunicare informazioni precise”. Di conseguenza i colori non sarebbero in grado di realizzare l’obiettivo finale, rappresentato dalla consapevole reiterazione delle esperienze d’acquisto. Da qui la conclusione, contenuta in alcune celebri sentenze, secondo cui la registrazione potrebbe aver luogo “solo provando il preuso del colore come marchio o provando che lo stesso, nel corso del tempo e mediante la spendita presso il pubblico, abbia acquisito capacità distintiva; sia, cioè, divenuto riconoscibile ai consumatori come marchio di una determinata impresa”.
In realtà, anche tali argomenti non sembrano del tutto condivisibili.
In primo luogo, il colore è un validissimo strumento di comunicazione che, più di altri elementi grafici, è in grado di colpire l’attenzione del consumatore: il colore viene immediatamente recepito e assorbito dall’inconscio, creando associazioni chiare e durature.
In secondo luogo, subordinare la registrazione di un marchio di colore ad un previo uso che ne dimostri la riconoscibilità presso il pubblico significa stravolgere la disciplina degli impedimenti sancita dal diritto nazionale e dell’Unione Europea e, di più ancora, creerebbe un’ingiustificata e ingiustificabile disparità di trattamento tra i marchi.
D’altronde una strada per il superamento di tali censure esiste ed è contenuta proprio nelle stesse sentenze portatrici di un’interpretazione tanto restrittiva.
Nella celebre sentenza Libertel, infatti, può leggersi che “in circostanze eccezionali”, cioè quando “il numero dei prodotti o dei servizi per i quali venga richiesta la registrazione del marchio risulti limitato”, esso possa essere considerato “intrinsecamente distintivo”.
Ed ancora, come si accennava in precedenza, è stato riconosciuto potere individualizzante ai “colori con tonalità molto particolari o del tutto inusuali rispetto al prodotto cui sono applicati, che non abbiano una funzione descrittiva del prodotto, ma siano collegati ad esso da un accostamento di pure fantasia con carattere originale”.
Assumendo, dunque, che per quanto ostacolata la registrazione di colori sia possibile, cerchiamo di capire come proporre efficacemente la domanda di registrazione di un colore primario, ovvero di una tonalità o di una combinazione cromatica.
La giurisprudenza richiede, per la registrazione di un colore, che lo stesso risponda a tre requisiti: deve costituire un segno di comunicazione d’impresa. Deve essere idoneo a distinguere i prodotti o i servizi di una determinata impresa da quelli di altre imprese. Deve poter essere oggetto di rappresentazione grafica.
Si precisa, altresì, che la rappresentazione grafica, funzionale alla definizione del marchio, deve essere di per sé completa, in modo tale da individuare con chiarezza e precisione l’oggetto esatto della tutela conferita attraverso il marchio registrato al suo titolare.
A tal fine, è stato osservato che i colori o le combinazioni cromatiche, disegnati astrattamente e senza contorno in una domanda di registrazione, e le cui tonalità siano enunciate con riferimento ad un campione di colore e precisate secondo una classificazione di colori internazionalmente riconosciuta, possono costituire un valido marchio, purché nel contesto nel quale sono impiegati, si presentino effettivamente come un segno e, alla domanda di registrazione segua l’impiego di tali colori secondo uno schema predeterminato e costante; ciò poiché non si ritiene ammissibile una combinazione di colori in tutte le forme e gli schermi immaginabili e di volta in volta variabili.
Naturalmente quelli proposti sono soltanto alcuni profili di un discorso più complesso, ma con i quali si desidera offrire alle imprese uno spunto per sperimentare, innovare, in una parola andare oltre.

2012/06/19

Social Media: come tutelare il marchio d'impresa?

Di seguito l'articolo estratto dalla rubrica "Diritto e Comunicazione" che curo per il Social Business Comunicazione Italiana (Link all Articolo originale)
Nell'articolo sintetizzo brevemente gli spunti offerti in occasione del mio intervento al Forum della Comunicazione tenutosi al Palazzo dei Congressi di Roma lo scorso 5 giugno.
                                                                         
"In occasione del Forum della Comunicazione 2012 abbiamo offerto alcuni spunti sul rapporto tra social media e protezione del marchio d’impresa. In particolare abbiamo osservato come la maggiore visibilità del brand su internet, nell’implicare anche una maggiore esposizione a commenti e recensioni negative, possa determinare ripercussioni sulla reputazione del marchio. Un rischio che tuttavia può essere contenuto, non solo attraverso una efficace attività di monitoraggio e livellamento dei feedback, ma anche e soprattutto attraverso una politica intesa a tutelare in via preventiva l’immagine aziendale, agendo su tutti quei fattori suscettibili di incidere negativamente sulla stessa.
In questa ottica si colloca, per esempio, il rispetto delle norme in tema di pubblicità e, più in generale, in tema di tutela dei consumatori, al fine di evitare che pratiche non corrette o carenze informative possano, di fatto, frustrare l’attività di coinvolgimento e fidelizzazione degli utenti.
Successivamente abbiamo posto l’accento sulla necessità di una maggiore responsabilizzazione dell’azienda, insistendo sull’importanza del ricorso a tre strumenti chiave per la protezione del brand: registrazione dei marchi; monitoraggio dell’attività su internet; predisposizione di un piano di tutela adeguato. E, con particolare riguardo alla registrazione, si è osservato come già in tale sede sia possibile adottare una serie di accorgimenti in grado di estendere il livello di protezione del marchio. Rinviando, tuttavia, l’approfondimento di quest’argomento ad altra occasione, appare utile soffermarsi su un ulteriore aspetto, ovvero sui margini di tutela a fronte di condotte illegittime dei competitor. Immaginiamo, per esempio, l’apertura di un falso account o di un gruppo recante un marchio identico o simile a quello della nostra azienda, o l’impiego dello stesso su pagine estranee alla nostra attività.
Nel mutato contesto dei social media, in cui vengono enfatizzate le funzioni pubblicitarie e di investimento del brand aziendale, anche l’ambito di protezione dello stesso tende a subire un progressivo ampliamento: non si ha più riguardo al marchio tradizionalmente inteso come mero strumento di indicazione dell’origine imprenditoriale dei beni, ma come strumento più che mai inteso a tutelare gli investimenti effettuati dal titolare. Tutela, dunque, contro l’offuscamento e la corrosione in seguito ad abusi che possano pregiudicare l’efficacia distintiva o la reputazione del marchio, ma anche tutela contro il parassitismo connesso a condotte intese a beneficiare fraudolentemente della notorietà e del potere attrattivo del brand.
Il tema della protezione del marchio nell’ambito dei social media impone tra l’altro delicate riflessioni sul bilanciamento degli interessi in gioco. Ci muoviamo, infatti, in una realtà in cui aumentano i soggetti coinvolti e gli interessi rilevanti; compare, tra gli altri, un nuovo interesse: quello del titolare del social network a non veder limitata la propria libertà imprenditoriale, o compromesso - in qualsiasi modo- il proprio business. E ciò si riflette, evidentemente, anche sulla valutazione dei profili di responsabilità ad esso addebitabili in ipotesi di abuso del marchio altrui attraverso la piattaforma: problema che viene risolto, tendenzialmente, ricorrendo al principio generale secondo cui il provider risponde degli illeciti commessi sulla propria piattaforma solo quando sia a conoscenza di tali attività e vi abbia contribuito, ovvero non si sia attivato per la rimozione delle pagine e/o dei contenuti illegittimi nonostante la richiesta del titolare del marchio leso o delle autorità.
Quelli accennati sono solo alcuni dei profili e delle considerazioni che la moderna comunicazione d’impresa impone, ma resta un dato di fatto e cioè l’enorme potenziale innovativo dei social network in rapporto alla spendibilità del marchio d’impresa e la necessità, allo stesso tempo, per ciascuna azienda di vedere adeguatamente tutelato il proprio brand".


Questo tema sarà oggetto di ulteriori approfondimenti in occasione di un ciclo di seminari e convegni che svolgeremo in autunno.
Inoltre, chiunque volesse maggiori informazioni al riguardo può contattarmi all'indirizzo e-mail avv.criromano@gmail.com oppure cristina.romano@lawtaxorg.com.
E' possibile, altresì, visitare la pagina del mio dipartimento sul sito di Metis Legal and Tax reperibile all'indirizzo www.lawtaxorg.com.

2012/06/06

Forum della Comunicazione 2012

Quest'anno il Forum della Comunicazione ha avuto un sapore diverso, poichè sono intervenuta per la prima volta come Partner e Speaker, proponendo il tema: "Il marchio d'impresa nell'era dei social network. opportunità e profili legali".
Nonostante un problema tecnico che ci ha impedito di accompagnare l'intervento con la proiezione delle slides, sono molto soddisfatta di questo Forum.
Innanzitutto sono contenta per il boom di registrazioni allo speech, poichè ciò significa che stiamo lavorando sui temi giusti; e poi sono soddisfatta dei riscontri positivi che abbiamo ricevuto in seguito all'intervento.
Il tema proposto si inserisce in un più ampio calendario di seminari in tema di diritto della comunicazione e nuove tecnologie, destinati ad imprese, professionisti e cultori della materia, che sto approntando con la collaborazione dei colleghi del network Metis Legal & Tax.  Se lo desiderate, potete proporre argomenti di vostro interesse, scrivendo all'indirizzo e-mail avv.criromano@gmail.com oppure all'indirizzo cristina.romano@lawtaxorg.com.
Segnalo che, a breve, pubblicheremo le slides ed il video dell'intervento.
Per qualsiasi aggiornamento...seguite il mio Blog!






2012/05/23

In attesa del Forum della Comunicazione...


Il 5 giugno a Roma, Palazzo dei Congressi, si terrà come ogni anno il Forum della Comunicazione.
Ma, per quel che mi riguarda, con una bella novità!
Quest'anno, infatti, parteciperò non più da spettatrice, ma da protagonista.
Alle 14.30, nella Innovation Experience Zone, interverrò brevemente sul tema:
"I marchi di impresa nell'era dei social network. Opportunità e profili legali".
 Un tema di grande interesse considerando quanto sta crescendo il ricorso ai social media quale vero e proprio strumento di impresa.
Una nuova risorse dunque, ma anche un nuovo terreno di operatività delle norme in tema di proprietà industriale che potremo esplorare insieme! 
Potete trovare maggiori informazioni sull'evento cliccando sul link  Forum della Comunicazione!
Per iscrivervi potete cliccare direttamente su Iscrizione e seguire la procedura!
Vi aspetto!

2012/05/07

Corte di Giustizia: limiti alla tutela del software


Con sentenza del 2 maggio 2012, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata in tema di tutela del software, ponendo alcuni fondamentali principi.
La questione sottoposta alla Corte, imperniata sull’interpretazione dell’articolo 1 della direttiva 91/250/CEE  (tutela giuridica dei programmi per elaboratore) e dell’articolo 2 della direttiva 2001/29/CE (diritto d’autore e diritti connessi nella società dell’informazione) nasceva da una controversia tra la SAS Institute Inc. e la World Programming Ltd  riguardo ad un’azione per contraffazione proposta dalla prima per la violazione del suo diritto d’autore sui programmi per elaboratore e sui manuali d’uso relativi al suo sistema informatico di banche dati.  La SAS, infatti, aveva realizzato un insieme integrato di programmi per l’effettuazione di operazioni di elaborazione e di analisi di dati; dal canto suo la WPL aveva legalmente acquistato copie della versione per l’apprendimento del sistema SAS, fornite su licenza in base alla quale i diritti del titolare erano limitati a fini non di produzione, e aveva sviluppato un proprio sistema che ne emulava la maggior parte delle funzionalità.  In sostanza la WPL aveva studiato la funzionalità del software, cioè il comportamento, senza tuttavia accedere al codice sorgente.  
La Corte ha statuito, al riguardo, che non costituiscono una forma di espressione di un programma per elaboratore e non sono, a tale titolo, tutelati dal diritto d’autore sui programmi per elaboratore né la funzionalità di un programma siffatto né il linguaggio di programmazione e il formato di file di dati utilizzati nell’ambito di un tale programma per sfruttare talune delle sue funzioni.
Pertanto colui che ha ottenuto su licenza una copia di un programma per elaboratore può, senza l’autorizzazione del titolare del diritto d’autore, osservare, studiare o sperimentare il funzionamento di detto programma al fine di determinare le idee e i principi su cui si basa ogni elemento di tale programma, allorché egli effettua operazioni coperte da tale licenza nonché operazioni di caricamento e svolgimento necessarie all’utilizzazione del programma e a condizione che non leda i diritti esclusivi del titolare del diritto d’autore sul programma di cui trattasi.
La riproduzione, in un programma per elaboratore o in un manuale d’uso di tale programma, di taluni elementi descritti nel manuale d’uso di un altro programma per elaboratore tutelato dal diritto d’autore può costituire una violazione del diritto d’autore su quest’ultimo manuale soltanto qualora tale riproduzione costituisca l’espressione della creazione intellettuale propria dell’autore del manuale d’uso del programma per elaboratore protetto dal diritto d’autore.
La ragione delle statuizioni innanzi riportate è da ricercarsi nel passo in cui i giudici osservano che "ammettere che la funzionalità di un programma per elaboratore possa essere tutelata dal diritto d’autore equivarrebbe ad offrire la possibilità di monopolizzare le idee, a scapito del progresso tecnico 
e dello sviluppo industriale".
Link:  Testo integrale della sentenza





2012/05/01

E-commerce: a breve le linee guida di Netcom e Adiconsum

Il commercio elettronico rappresenta sicuramente una risorsa preziosa per le imprese italiane ma non si può nascondere che lo stesso sia ancora ostacolato da una certa sfiducia di fondo, alimentata dalle pratiche scorrette di alcuni operatori. Ed è per questa ragione che Adiconsum e Netcomm hanno stilato un accordo di collaborazione al fine di elaborare, in tempi molto brevi, linee guida intese a regolare il settore degli acquisti online.  Gli aspetti chiave saranno trasparenza e standardizzazione delle operazioni al fine di garantire una maggiore sicurezza nelle transazioni.  Inoltre si punterà su una maggiore attività di monitoraggio e su adeguate strategie di intervento in caso di malapractice degli operatori, così come si punterà su una maggiore formazione ed informazione di questi ultimi. Se è vero, dunque, che esistono ancora ostacoli al commercio elettronico, è altrettanto vero che l’accordo appena enunciato rappresenta un passo importante nel lanciare un segnale positivo ai consumatori, i quali non devono sentirsi “lasciati soli” nei loro acquisti ma adeguatamente supportati e tutelati.

2012/03/30

Pmi: le risorse offerte dalla tecnologia secondo il sito di informazione PMI.IT


Riporto di seguito un articolo molto interessante, tratto dal sito di informazione PMI.it.
Il testo, integralmente citato, è reperibile alla fonte originale all'indirizzo internet http://www.pmi.it/tecnologia/infrastrutture-it/articolo/53964/portare-alle-pmi-il-meglio-della-tecnologia.html

"Secondo la Commissione Europea, le piccole e medie imprese (PMI) rappresentano il 99% di tutte le aziende in Europa. Crescono molto più rapidamente rispetto a realtà più grandi e più affermate, nonostante in genere dispongano di budget ed esperienza IT limitati per supportare tale crescita.

Nuove tecnologie, quali la virtualizzazione e il cloud computing, hanno aiutato e possono aiutare ancora le aziende in questo senso, fornendo una base tecnologica che può essere estesa in modo flessibile, in base alla domanda e ai picchi di business, senza la necessità di spese capitali indesiderate e fuori dalla propria portata.


Se le PMI selezionano i sistemi IT e i servizi adeguati e li gestiscono correttamente, dovrebbero essere in una posizione solida per far fronte alle sfide di business, dall’evoluzione delle normative in essere all’esplosione dei dati – la tecnologia dovrebbe diventare un fattore abilitante, piuttosto che un ostacolo.

C’è una concreta opportunità perché  i rivenditori possano sfruttare la conoscenza ed il rapporto che hanno con i propri clienti per  aiutarli a comprendere tutti i benefici di queste nuove tecnologie emergenti.

EMC ha condotto delle survey in tutta Europa al fine di raccogliere il punto di vista dei rivenditori su 5 aree principali da considerare quando si opera con le PMI. Di seguito, i temi più comuni che si riscontrano assieme ad alcune raccomandazioni su come meglio affrontare in maniera efficace questi ambiti:

Iniziare con la virtualizzazione. La virtualizzazione oggi dovrebbe essere un gioco da ragazzi per qualsiasi azienda, soprattutto con chi dispone di una forza lavoro molto mobile o a progetto. Tuttavia, il termine in sé può risultare piuttosto astratto per le piccole aziende. Essenzialmente, la virtualizzazione significa che il supporto IT può essere gestito da una location singola, centrale – utilizzando un server sia fisico sia ‘virtuale’, in modo che un’azienda possa davvero fare di più con meno risorse a disposizione. Si risparmia spazio fisico, si tagliano i tempi di manutenzione e l’utilizzo dei sistemi.Per esempio, gli aggiornamenti critici possono essere fatti tutti in una volta, piuttosto che aggiornare dispositivi come notebook da remoto o singolarmente.  Implementare la virtualizzazione può intimorire, ma i partner possono essere di supporto nella gestione degli aspetti più difficili, andando a creare un sistema IT di semplice utilizzo che dovrebbe ripagare in futuro.
Consigliare ai vostri clienti di investire su storage condiviso. I costi delle storage area network e delle tecnologie di ottimizzazione storage oggi sono molto più accessibili anche ai budget delle PMI. La gestione dei dati rappresenta un peso crescente per le piccole e medie imprese.  Le reti storage e le tecnologie di ottimizzazione storage possono aiutare a domare le grandi moli di dati e rendere più semplice ricavare la business intelligence per dare una spinta ai profitti.
Molto è stato detto sul cloud computing nel corso degli ultimi anni, ma per le PMI è importante comprendere che il cloud computing è un mezzo per raggiungere uno scopo, e non è in sé non un fine. Le PMI non devono effettuare una migrazione totale della loro infrastruttura. Un approccio mix-and-match è di gran lunga più appropriato per le PMI. Si dovrebbe iniziare aiutando le aziende nell’identificazione di un processo di business a basso rischio, che magari viene utilizzato solo sporadicamente. Se modello e servizio funzionano, l’azienda può spostare più processi su cloud, man mano che sente la necessità di farlo.
È inoltre essenziale avere un punto di vista oggettivo sui servizi cloud. Le PMI dovrebbero seguire lo stesso approccio come farebbero per un’infrastruttura on-premise e prendere le decisioni di acquisto IT in base alle necessità di business piuttosto che al metodo di fornitura.
È importante assicurarsi di rivedere regolarmente la strategia di asset management. Rinnovare e aggiornare le licenze software, per esempio, può essere un processo costoso e dispendioso in termini di tempo. I servizi cloud possono rappresentare  una buona opzione per gestire le risorse IT, anche se le PMI devono verificare a priori che il fornitore cloud da loro scelto possa gestire il nuovo rapporto a livello contrattuale.
Nel complesso, è consigliabile mantenere la semplicità dell’IT e aiutare le PMI a utilizzare il minor numero di dispositivi possibile in modo che questi siano più gestibili nel lungo termine. In quest’area, ad esempio, c’è una crescente domanda di tecnologie di unified storage, che rendono possibile l’elaborazione e la gestione di file e applicazioni da un singolo dispositivo.

Se l’aspetto economico non va sottovalutato, è altrettanto fondamentale guadagnarsi la fiducia del cliente, in modo da mantenere una relazione proficua, che porti anche ad opportunità di business future. Per questo l’obiettivo di breve termine dovrebbe essere quello di aiutare le PMI a mantenere bassi i costi di gestione IT, garantire una manutenzione semplice e utilizzare in modo lungimirante lo spazio storage. Successivamente, ed a fronte di una crescita, le PMI torneranno a chiedere  ulteriori tecnologie di supporto alla loro evoluzione, che permetteranno a chi le ha seguite in modo ottimale di generare ulteriori profitti – un vantaggio per entrambi."

2012/03/29

Siti web, nomi a dominio e concorrenza sleale: cosa fare?

Prendiamo spunto da un caso realmente verificatosi e sottoposto all'attenzione di Metis Legal & Tax - dip. Media&Communication.

Il nostro cliente che chiameremo, usando un nome di fantasia, Leonardo ci ha esposto il seguente problema: cinque anni fa ha intrapreso la sua attività lavorativa e due anni fa ha aperto un sito web per pubblicizzare i propri servizi, acquisendo un gran numero di clienti. Purtroppo, però, come sempre accade quando si diventa molto competitivi, sono arrivati anche i problemi. Un’impresa che opera nel medesimo settore ha acquistato presso il Registro italiano dei nomi a dominio, un indirizzo internet, il cui nucleo identificativo (Leonardoinforma) è identico a quello del nostro cliente. L’unica differenza è data dalla circostanza che l' indirizzo di Leonardo termina con il suffisso “.com”, mentre l’indirizzo del concorrente termina con il suffisso “.it”.  L’effetto di tale situazione è che gli utenti che desiderano raggiungere il suo sito web vengono sviati, a causa della sostanziale omogeneità degli indirizzi, sul sito del mio concorrente.

Cosa abbiamo suggerito di fare al nostro cliente?

Facciamo una piccola premessa chiarificatrice.
Quando apriamo un sito web (a meno che non ci avvaliamo dei servizi gratuiti messi a disposizione per esempio da Google), dobbiamo acquistare – a costi irrisori – il cd. nome a dominio. Il nome a dominio è l’indirizzo del nostro sito web. Questo indirizzo è unico e non può essere duplicato.
Posto che, generalmente, il nome a dominio coincide con il nome/marchio dell’azienda, la giurisprudenza e la dottrina italiane hanno equiparato la tutela del nome a dominio a quella dei segni distintivi dell’impresa.
Tornando alla vicenda di Leonardo va osservato che si tratta effettivamente di un’ipotesi sanzionabile giuridicamente. La condotta del suo concorrente integra, infatti, gli estremi di un caso di concorrenza sleale, nella duplice declinazione di concorrenza parassitaria e confusoria, come disciplinata dall’articolo 2598 del codice civile, a tenore del quale compie atti di concorrenza sleale chiunque usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l'attività di un concorrente. In tal caso la parte lesa può diffidare il concorrente dall’insistere in tale illegittima condotta ed esperire efficacemente, innanzi al giudice ordinario, un’azione intesa ad ottenere il risarcimento del danno patito.
Inoltre l’ipotesi considerata rileva anche sotto il profilo delle pratiche commerciali scorrette e ingannevoli, con potenziale effettivo lesivo anche per i consumatori. Al riguardo, si rammenta, infatti il testo dell’articolo 21 del d.lgs. n. 206 del 2005 “Codice del Consumo”, secondo cui è considerata ingannevole una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, induce o è idonea ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso e comporti una qualsivoglia attività di commercializzazione del prodotto che ingenera confusione con i prodotti, i marchi, la denominazione sociale e altri segni distintivi di un concorrente. Di conseguenza, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 27 dello stesso testo di legge, potrà essere sollecitato l’intervento sanzionatorio dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Va aggiunto altresì che, qualora il dominio registrato dal concorrente sia un “.it”, sarà opportuno presentare un’istanza di opposizione al Registro italiano per l’assegnazione dei nomi a dominio, e successivamente, attivando una procedura presso i prestatori del servizio risoluzione dispute, agire per la riassegnazione del dominio conteso.
Le considerazioni sopra riportate hanno, naturalmente, una portata soltanto generica ed esemplificativa delle problematiche e dei rimedi collegati al caso esposto. Va sottolineato, infatti, che vicende così delicate necessitano gli opportuni approfondimenti, così come va ricordato che ogni caso ha le sue peculiarità e le sue soluzioni che richiedono un occhio esperto ed attento.

2012/03/13

PMI: dalle tecniche tradizionali al Social Media Marketing


Da una ricerca recentemente condotta dalla IULM, emerge che le PMI italiane hanno fortemente implementato il ricorso ai portali sociali per pubblicizzare la propria attività. Addirittura si parla di una percentuale che passa dal 9,8% al 43%.
Naturalmente il portale più utilizzato dalle aziende per farsi pubblicità è Facebook, seguito da Linkedin, Twitter e Youtube.
Le ragioni di questo successo vanno ricercate nel fatto che questi portali sono divenuti ormai veri e propri luoghi di incontro virtuale cui un elevatissimo numero di consumatori accede regolarmente.
Il rapporto impresa - consumatore diventa, dunque, più intenso ed immediato.  E l'effetto è ulteriormente amplificato dal proliferare di piattaforme di accesso: non più solo pc ma anche cellulari, tablet etc.
Ed i risultati sono reali: l'efficacia della comunicazione pubblicitaria attraverso i social media è confermata dall'effettivo ritorno di investimento alle aziende che hanno puntato su tale risorsa.

2012/03/06

Crisi economica: le PMI investono nell'e-commerce

Quando ho aperto questo blog ho sottolineato l'importanza dell'information technology nel mondo dell'imprenditoria. Ho sottolineato, soprattutto, quanto in un momento di crisi sia importante sperimentare nuove forme di business ed esplorare nuove frontiere.  Insistevo, quindi, sulla necessità di investire nel settore dell'e-commerce e dell'advertising on-line.
Ebbene, questa mattina, ho letto un interessantissimo articolo che riportava i risultati di un'indagine compiuta su 700 PMI Italiane. Da questa indagine è emerso che nel 2011 sono triplicate, rispetto al 2010, le attività di e-commerce; ed in tale significativo aumento ha giocato un ruolo fondamentale l'investimento operato in questo nuovo mercato dalle PMI, presenti nella misura del 67%.
Queste ultime, infatti, con un piccolo investimento che può variare, grosso modo, da 130 ai 700 euro (utilizzo come riferimento le offerte relative all'e-commerce pack disponibile su register.it), hanno dimostrato di comprendere perfettamente le nuove tendenze di acquisto dei consumatori.
Le indagini di mercato rivelano, infatti, che nel 2011 più del 50% dei consumatori ha scelto internet per i propri acquisti, essendo cresciuta la fiducia nei confronti dei nuovi sistemi di pagamento che consentono transazioni veloci e sicure.
La lungimiranza, purtroppo, ha interessato maggiormente le imprese del centro-nord, mentre restano ancora indietro le imprese del Sud, le quali rischiano di essere schiacciate da un mercato che diventa sempre più competitivo.
Ebbene, questo è il momento di investire. Investire per non rimanere indietro; investire per uscire dalla crisi; investire per diventare competitivi sul mercato locale e nazionale.
Sarà anche un periodo nero per l'economia, ma è anche vero che ci sono tantissime opportunità da sfruttare.
E tocca soprattutto a noi coglierle e sfruttarle! Parlo dei trentenni che inseguendo un sogno hanno oggi curriculum lunghi pagine e pagine...tocca a noi far ripartire questo paese, perché nessuno lo farà al posto nostro!

2012/02/29

Corte di Giustizia: i prestatori dei servizi di hosting non sono tenuti a predisporre un sistema di filtraggio preventivo dei contenuti ai fini della tutela del diritto d’autore.

La Corte di Giustizia, con sentenza del 16 febbraio 2012, si è pronunciata sulla questione pregiudiziale sollevata dal Belgio in merito all’obbligo dei prestatori dei servizi di hosting di predisporre un sistema di filtraggio preventivo delle informazioni memorizzate sulla propria piattaforma.
Più precisamente, con la predetta questione, si chiedeva alla Corte se i giudici nazionali potessero ingiungere ad un prestatore di servizi di hosting di predisporre un sistema di filtraggio delle informazioni memorizzate sui server dagli utenti applicabile indistintamente nei confronti di tutti questi utenti, a titolo preventivo, a spese esclusive del prestatore, e senza limiti nel tempo, al fine di identificare i file elettronici contenenti opere musicali, cinematografiche o audiovisive rispetto alle quali il richiedente il provvedimento di ingiunzione affermi di vantare diritti di proprietà intellettuale, onde bloccare la messa a disposizione del pubblico di dette opere, lesiva del diritto d’autore.
Ebbene la risposta della Corte di Giustizia è stata molto chiara e si inserisce nel solco di una consolidata giurisprudenza: i giudici nazionali non possono imporre un sistema di filtraggio preventivo ai prestatori del servizio di hosting.
Adottando un’ingiunzione che costringa il prestatore di servizi di hosting a predisporre il sistema di filtraggio, infatti, il giudice nazionale non rispetterebbe l’obbligo di garantire un giusto equilibrio tra il diritto di proprietà intellettuale, da un lato, e la libertà di impresa, il diritto alla tutela dei dati personali e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni, dall’altro.
Le norme dell’Unione Europea vietano, infatti, categoricamente, alle autorità nazionali di adottare misure che impongano ad un prestatore di servizi di hosting di procedere ad una sorveglianza generalizzata sulle informazioni che esso memorizza e ciò anche in relazione alla tutela della proprietà intellettuale.
Sebbene la tutela del diritto di proprietà intellettuale sia sancita dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea non può desumersi né da tale disposizione né dalla giurisprudenza della Corte che tale diritto sia intangibile e che la sua tutela debba essere garantita in modo assoluto.
Una sorveglianza preventiva richiederebbe un’osservazione attiva dei file memorizzati dagli utenti presso il prestatore di servizi di hosting e riguarderebbe sia la quasi totalità delle informazioni così memorizzate sia ciascuno degli utenti dei servizi di tale prestatore, obbligando quest’ultimo a predisporre un sistema informatico complesso, costoso, permanente e unicamente a sue spese,  in violazione della direttiva a 2004/48, che richiede che le misure adottate per assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale non siano inutilmente complesse o costose.
Tra l’altro detta ingiunzione rischierebbe di ledere la libertà di informazione, poiché tale sistema potrebbe non essere in grado di distinguere adeguatamente tra un contenuto illecito ed un contenuto lecito, sicché il suo impiego potrebbe produrre il risultato di bloccare comunicazioni aventi un contenuto lecito. Infatti, è indiscusso che la questione della liceità di una trasmissione dipende anche dall’applicazione di eccezioni di legge al diritto d’autore che variano da uno Stato membro all’altro. Inoltre, in determinati Stati membri talune opere possono rientrare nel pubblico dominio o possono essere state messe in linea a titolo gratuito da parte dei relativi autori.
Concludendo, dunque, i titolari di diritti di proprietà intellettuale potranno tutelarsi unicamente mediante la richiesta, ai giudici nazionali, di un provvedimento inibitorio nei confronti dei gestori di piattaforme di reti sociali in linea, ponendo fine alle violazioni già inferte ai diritti di proprietà intellettuale mediante i loro servizi della società dell’informazione, ma anche a prevenire nuove violazioni.

2012/02/14

Decreto legge 9 febbraio 2012: scompare il DPS, ma attenzione alle altre misure di sicurezza!

Il Decreto sulle Semplificazioni, attualmente in fase di conversione, elimina la "fotografia della privacy aziendale". Le imprese, a partire da quest'anno, non saranno più tenute alla redazione del documento programmatico della sicurezza. Ma attenzione! La circostanza che non esiste più l'obbligo di redazione annuale del DPS non significa che non dovranno essere rispettate più le misure di sicurezza! 
Al riguardo si rammenta, infatti, che permane l'applicazione delle misure di sicurezza contenute nel disciplinate tecnico di cui all'allegato B) al Codice Privacy, ovvero:
a) Sistema di autenticazione informatica
Il trattamento di dati personali con strumenti elettronici è consentito soltanto a soggetti dotati di credenziali di autenticazione che consentano il superamento di una procedura di autenticazione relativa a uno specifico trattamento o a un insieme di trattamenti.
Le credenziali di autenticazione consistono in un codice per l'identificazione dell'incaricato associato a una parola chiave riservata conosciuta solamente dal medesimo oppure in un dispositivo di autenticazione in possesso e uso esclusivo dell'incaricato, eventualmente associato a un codice identificativo o a una parola chiave, oppure in una caratteristica biometrica dell'incaricato, eventualmente associata a un codice identificativo o a una parola chiave.
La parola chiave è composta da almeno otto caratteri oppure, nel caso in cui lo strumento elettronico non lo permetta, da un numero di caratteri pari al massimo consentito; essa è modificata almeno ogni sei mesi.
Le disposizioni sul sistema di autenticazione di cui ai precedenti punti e quelle sul sistema di autorizzazione non si applicano ai trattamenti dei dati personali destinati alla diffusione.
b) Altre misure di sicurezza
I dati personali sono protetti contro il rischio di intrusione e dell'azione di programmi di cui all'art. 615-quinquies del codice penale, mediante l'attivazione di idonei strumenti elettronici da aggiornare con cadenza almeno semestrale.
Gli aggiornamenti periodici dei programmi per elaboratore volti a prevenire la vulnerabilità di strumenti elettronici e a correggerne difetti sono effettuati almeno annualmente.
c) Misure di tutela e garanzia
Il titolare che adotta misure minime di sicurezza avvalendosi di soggetti esterni alla propria struttura, per provvedere alla esecuzione riceve dall'installatore una descrizione scritta dell'intervento effettuato che ne attesta la conformità alle disposizioni del presente disciplinare tecnico. 
In sostanza, anche se non dovrà più essere redatto, il dps rimarrà utilmente nelle aziende anche sotto altra forma.  Ciascuna azienda dovrà disporre comunque di una documentazione interna in cui siano contenuti:
  • l'elenco dei trattamenti di dati personali;
  • la distribuzione dei compiti e delle responsabilità nell'ambito delle strutture preposte al trattamento dei dati;
  • l'analisi dei rischi che incombono sui dati;
  • le misure da adottare per garantire l'integrità e la disponibilità dei dati, nonché la protezione delle aree e dei locali, rilevanti ai fini della loro custodia e accessibilità;
  • la descrizione dei criteri e delle modalità per il ripristino della disponibilità dei dati in seguito a distruzione o danneggiamento;
  • la previsione di interventi formativi degli incaricati del trattamento dei dati;
  • la descrizione dei criteri da adottare per garantire l'adozione delle misure minime di sicurezza in caso di trattamenti di dati personali affidati all'esterno della struttura del titolare;
  •  l'individuazione dei criteri da adottare per la cifratura o per la separazione dei dati sensibili dagli altri dati personali dell'interessato.

2012/01/15

Nomi a dominio: parte la liberalizzazione

L’ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers) ha adottato nel mese di giugno del 2011 una decisione, nell’aria da molto anni, avente ad oggetto la liberalizzazione dei nomi a dominio.
D’ora in avanti, infatti, sarà possibile creare suffissi personalizzati, in aggiunta ai noti   .com, .net, .org etc., e sarà possibile utilizzare anche caratteri diversi da quelli occidentali.
Tale decisione è nata dall’esigenza di agevolare l’accesso internet agli utenti di tutto il mondo e di aumentare la competizione tra le imprese.
Si rammenta, peraltro, che a partire dal 12 gennaio 2012, l’ICANN ha cominciato ad accettare le prime domande di registrazione, le quali devono essere presentate online attraverso il sistema creato appositamente sul sito della Corporation.
Inoltre l’ICANN si sta attivando al fine di approntare le misure più opportune al fine di garantire la tutela dei nomi a dominio, dal punto di vista della proprietà industriale.