L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, con delibera n. 39/13/CONS, ha avviato un’indagine conoscitiva avente ad oggetto i servizi internet e la pubblicità online.
L’Autorità ha infatti rilevato come, nonostante l’estrema varietà e polverizzazione di internet, il mercato pubblicitario on line sia connotato da una elevata e strutturale concentrazione e come eventuali strozzature concorrenziali nella raccolta pubblicitaria on line potrebbero determinare effetti negativi sia sulla natura stessa, aperta e competitiva, di internet sia sulle informazioni e notizie a disposizione di cittadini e utenti.
Di qui, anche tenuto conto della rilevanza strategica della rete e dei riflessi sugli assetti e sulle dinamiche competitive di tutti i mezzi di comunicazione di massa dell’evoluzione digitale, l’Autorità ha ritenuto opportuno procedere ad un’indagine conoscitiva che permettesse un monitoraggio della rete sia sul versante della raccolta pubblicitaria sia sul versante della fornitura dei nuovi servizi di comunicazione agli utenti.
Soltanto analizzando la struttura dell’intera filiera produttiva, i modelli economici e finanziari sottostanti le nuove piattaforme digitali, nonché le eventuali criticità nella struttura concorrenziale, sarà possibile secondo l’Autorità riuscire a valutare i benefici e i costi degli interventi legislativi e regolamentari nel predetto settore, valutando altresì le modalità dei nuovi interventi.
Nell’ambito di tale indagine, l’Agcom ha avviato una consultazione conoscitiva rivolta a tutti i soggetti attivi, a qualsiasi titolo, sul web. Mediante tale consultazione l’Autorità si pone l’obiettivo di acquisire informazioni sull’uso di internet dando la possibilità a tutti coloro che utilizzano la rete in qualità sia di utenti sia di fornitori di servizi in rete, di segnalare ed evidenziare il loro punto di vista in merito ai temi individuati sull’accesso e l’utilizzo di internet e dei suoi servizi.
In particolare, si va dalle apparecchiature utilizzate per la navigazione in rete (e i relativi sistemi operativi), ai motori di ricerca e ai social network, fino a richiedere contributi su come ci si informa sul web.
Alla consultazione, che terminerà il 1° luglio, potranno dunque partecipare tutti i soggetti interessati, mediante la compilazione di un semplice modulo, reperibile sul sito dell’Autorità.
A window over a world where the law becomes a tool at the service of creativity, technology and social growth.
2013/05/14
2013/04/15
Cloud computing: cenni sugli aspetti legali
Il Cloud computing consiste nella possibilità di memorizzare, archiviare ed elaborare dati mediante l’uso di risorse informatiche virtualizzate. Pur potendosi distinguere tra infrastrutture provate e pubbliche, ciascuna dotata di proprie peculiarità, è possibile individuare dei tratti comuni alle diverse piattaforme.
In particolare, i dati non risiedono fisicamente nell’ambiente informatico del fruitore bensì nel server del provider e ad essi può accedersi unicamente via internet; inoltre la medesima piattaforma può contenere dati di diversi utenti, il che implica tra l’altro la necessità di sistemi di sicurezza adeguati che garantiscano il più elevato livello di protezione e riservatezza.
Il cloud presenta evidenti vantaggi per i fruitori, rappresentati oltre che dalla possibilità di accedere ai dati dal web, anche dalla disponibilità di ampi spazi di memoria e dalla possibilità di conferire a terzi l’incarico di gestire i propri i dati, in un’ottica di esternalizzazione delle attività aziendali.
Accanto agli indiscutibili vantaggi, il cloud presenta anche alcuni rischi, rappresentati innanzitutto dall’effettiva garanzia di disponibilità e accessibilità dei dati che dipende in primo luogo dalla qualità dei servizi di connessione (tematica che si ricollega tra l’altro all’annosa questione della diffusione della banda larga) oltre che dal grado di affidabilità della piattaforma; affidabilità che è richiesta anche in considerazione di un ulteriore rischio, connesso alla protezione dei dati in termini di integrità e sicurezza dei medesimi, anche sotto il profilo della riservatezza.
Tale ultimo aspetto rileva peraltro non solo in relazione alla tutela dei dati del fruitore, ma anche in relazione ad eventuali dati di terzi da quest’ultimo detenuti e rispetto ai quali il provider deve assumere un ruolo attivo di tutela.
Deve peraltro rilevarsi che alcune perplessità sollevate in relazione al fenomeno del cloud derivano anche da una carenza, allo stato attuale, di una normativa che regoli adeguatamente l’uso di tale tecnologia. In assenza di un quadro normativo esaustivo, diventa dunque indispensabile affidarsi ad una regolamentazione contrattuale completa ed efficace che consenta al fruitore del servizio di godere di un adeguato livello di tutela.
Il regolamento contrattuale dovrà recare, infatti, indicazioni dettagliate in merito agli standard del servizio di cloud e alle relative garanzie e responsabilità del provider specialmente in relazione a qualità, sicurezza e riservatezza. Fondamentale, in tale ottica, anche l’individuazione del luogo di conservazione dei dati, al fine di determinare la legge applicabile; problema peraltro particolarmente sentito in considerazione del continuo flusso di dati tra soggetti diversi, come avviene per esempio nell’ipotesi in cui il fornitore del servizio conferisca a terzi l’incarico di conservare parte dei dati acquisiti.
Quelli riportati, naturalmente, sono solo pochi cenni di un tema ben più complesso e articolato, ma pongono in evidenza, anche tenuto conto dell’innovatività di tale servizio e delle lacune normative in materia, la necessità di regolamentarne la fruizione sulla base di parametri contrattuali ben definiti.
In particolare, i dati non risiedono fisicamente nell’ambiente informatico del fruitore bensì nel server del provider e ad essi può accedersi unicamente via internet; inoltre la medesima piattaforma può contenere dati di diversi utenti, il che implica tra l’altro la necessità di sistemi di sicurezza adeguati che garantiscano il più elevato livello di protezione e riservatezza.
Il cloud presenta evidenti vantaggi per i fruitori, rappresentati oltre che dalla possibilità di accedere ai dati dal web, anche dalla disponibilità di ampi spazi di memoria e dalla possibilità di conferire a terzi l’incarico di gestire i propri i dati, in un’ottica di esternalizzazione delle attività aziendali.
Accanto agli indiscutibili vantaggi, il cloud presenta anche alcuni rischi, rappresentati innanzitutto dall’effettiva garanzia di disponibilità e accessibilità dei dati che dipende in primo luogo dalla qualità dei servizi di connessione (tematica che si ricollega tra l’altro all’annosa questione della diffusione della banda larga) oltre che dal grado di affidabilità della piattaforma; affidabilità che è richiesta anche in considerazione di un ulteriore rischio, connesso alla protezione dei dati in termini di integrità e sicurezza dei medesimi, anche sotto il profilo della riservatezza.
Tale ultimo aspetto rileva peraltro non solo in relazione alla tutela dei dati del fruitore, ma anche in relazione ad eventuali dati di terzi da quest’ultimo detenuti e rispetto ai quali il provider deve assumere un ruolo attivo di tutela.
Deve peraltro rilevarsi che alcune perplessità sollevate in relazione al fenomeno del cloud derivano anche da una carenza, allo stato attuale, di una normativa che regoli adeguatamente l’uso di tale tecnologia. In assenza di un quadro normativo esaustivo, diventa dunque indispensabile affidarsi ad una regolamentazione contrattuale completa ed efficace che consenta al fruitore del servizio di godere di un adeguato livello di tutela.
Il regolamento contrattuale dovrà recare, infatti, indicazioni dettagliate in merito agli standard del servizio di cloud e alle relative garanzie e responsabilità del provider specialmente in relazione a qualità, sicurezza e riservatezza. Fondamentale, in tale ottica, anche l’individuazione del luogo di conservazione dei dati, al fine di determinare la legge applicabile; problema peraltro particolarmente sentito in considerazione del continuo flusso di dati tra soggetti diversi, come avviene per esempio nell’ipotesi in cui il fornitore del servizio conferisca a terzi l’incarico di conservare parte dei dati acquisiti.
Quelli riportati, naturalmente, sono solo pochi cenni di un tema ben più complesso e articolato, ma pongono in evidenza, anche tenuto conto dell’innovatività di tale servizio e delle lacune normative in materia, la necessità di regolamentarne la fruizione sulla base di parametri contrattuali ben definiti.
2013/04/02
Il web: luogo di satire e parodie
Il web diventa sempre più luogo di espressione della creatività e basta accedere ai principali siti che contengono video e immagini caricate dagli utenti per rendersi conto delle dimensioni di questo fenomeno.
Tra i numerosissimi video caricati dagli utenti non passano certamente inosservate le parodie che affollano il web; parodie caricate da giovanissimi utenti, ma sempre più spesso anche da professionisti.
Ma quali sono i limiti giuridici di questa espressione di creatività?
Innanzitutto definiamo che cosa deve intendersi per parodia.
Quest’ultima altro non è che una forma di satira e consiste nella rielaborazione creativa per finalità comiche di un’altra opera (ad esempio un film), al fine di suscitare ilarità.
In linea generale l’attività parodistica è giudicata lecita e l’opera in cui si concreta è considerata indipendente rispetto all’opera parodiata e, come tale, suscettibile di tutela secondo le norme del diritto d’autore.
Si ritiene, infatti, che la parodia, in ragione dello stravolgimento concettuale che realizza, nonché delle finalità comiche che si prefigge, costituisca un’opera nuova, non suscettibile di ledere, in alcun modo, l’autore dell’opera parodiata. E ciò quand’anche la parodia sia frutto di un contributo creativo di modesta entità.
Ciò che si osserva, infatti, è che le condizioni innanzi accennate escludono ogni possibilità di concorrenza con l’opera parodiata, rivolgendosi talora anche ad un pubblico differente. In sostanza, anche se la parodia si giova dell’avviamento conseguito dalla preventiva diffusione dell’opera parodiata, allo stesso tempo non le sottrae mercato.
Quindi, quand’è che la parodia diventa illecita?
La parodia diventa illecita, fondamentalmente, quando non presenti lo stravolgimento concettuale che tipicamente la contraddistingue oppure quando contenga un attacco alla personalità dell’autore o, comunque, una sua denigrazione. Esattamente come avviene per la satira in senso stretto, la parodia non deve attribuire fatti non veri alle persone citate, non deve contenere insulti diretti o indiretti e non deve ironizzare su particolari della vita privata che non presentino implicazioni rilevanti tenuto conto delle eventuali cariche pubbliche rivestite dal personaggio.
Tra i numerosissimi video caricati dagli utenti non passano certamente inosservate le parodie che affollano il web; parodie caricate da giovanissimi utenti, ma sempre più spesso anche da professionisti.
Ma quali sono i limiti giuridici di questa espressione di creatività?
Innanzitutto definiamo che cosa deve intendersi per parodia.
Quest’ultima altro non è che una forma di satira e consiste nella rielaborazione creativa per finalità comiche di un’altra opera (ad esempio un film), al fine di suscitare ilarità.
In linea generale l’attività parodistica è giudicata lecita e l’opera in cui si concreta è considerata indipendente rispetto all’opera parodiata e, come tale, suscettibile di tutela secondo le norme del diritto d’autore.
Si ritiene, infatti, che la parodia, in ragione dello stravolgimento concettuale che realizza, nonché delle finalità comiche che si prefigge, costituisca un’opera nuova, non suscettibile di ledere, in alcun modo, l’autore dell’opera parodiata. E ciò quand’anche la parodia sia frutto di un contributo creativo di modesta entità.
Ciò che si osserva, infatti, è che le condizioni innanzi accennate escludono ogni possibilità di concorrenza con l’opera parodiata, rivolgendosi talora anche ad un pubblico differente. In sostanza, anche se la parodia si giova dell’avviamento conseguito dalla preventiva diffusione dell’opera parodiata, allo stesso tempo non le sottrae mercato.
Quindi, quand’è che la parodia diventa illecita?
La parodia diventa illecita, fondamentalmente, quando non presenti lo stravolgimento concettuale che tipicamente la contraddistingue oppure quando contenga un attacco alla personalità dell’autore o, comunque, una sua denigrazione. Esattamente come avviene per la satira in senso stretto, la parodia non deve attribuire fatti non veri alle persone citate, non deve contenere insulti diretti o indiretti e non deve ironizzare su particolari della vita privata che non presentino implicazioni rilevanti tenuto conto delle eventuali cariche pubbliche rivestite dal personaggio.
2013/03/04
Il contratto di bartering
In un periodo di crisi economica come quello che stiamo vivendo anche in un settore ricco come quello televisivo può essere utile ricorrere a strumenti contrattuali che consentano, specialmente, agli operatori di minori dimensioni e a quelli emergenti di ottimizzare la propria attività imprenditoriale.
In tale ottica va senz’altro menzionato il contratto di bartering, sviluppatosi in tempi relativamente recenti negli Stati Uniti, e suscettibile di acquisire contenuti particolari a seconda delle concrete esigenze.
Immaginiamo un’ipotesi molto semplice che coinvolga un produttore indipendente ed un’emittente televisiva di piccole dimensioni.
Ricorrendo a tale schema, il produttore potrà realizzare un programma, inserendo liberamente al suo interno i messaggi pubblicitari, per poi cederlo ad una emittente in cambio del servizio di diffusione della pubblicità.
Si realizza quindi un vero e proprio scambio tra cessione dei diritti di diffusione del programma ed acquisto di spazi nel palinsesto dell’emittente.
Questa operazione presenta evidenti vantaggi per tutti i soggetti coinvolti.
Per un verso, infatti, l’emittente può implementare il proprio palinsesto ottenendo programmi a costo zero; e per altro verso il produttore può accrescere la propria visibilità e le proprie “chance” di lavoro.
In tale ottica, il contratto di bartering può senza dubbio rappresentare un’opportunità di crescita per tutti quegli operatori, giovani ma non solo, che abbiano voglia di sperimentare le proprie capacità, di implementare il proprio bagaglio professionale e di affermarsi su un mercato che ha bisogno più che mai di idee nuove.
In tale ottica va senz’altro menzionato il contratto di bartering, sviluppatosi in tempi relativamente recenti negli Stati Uniti, e suscettibile di acquisire contenuti particolari a seconda delle concrete esigenze.
Immaginiamo un’ipotesi molto semplice che coinvolga un produttore indipendente ed un’emittente televisiva di piccole dimensioni.
Ricorrendo a tale schema, il produttore potrà realizzare un programma, inserendo liberamente al suo interno i messaggi pubblicitari, per poi cederlo ad una emittente in cambio del servizio di diffusione della pubblicità.
Si realizza quindi un vero e proprio scambio tra cessione dei diritti di diffusione del programma ed acquisto di spazi nel palinsesto dell’emittente.
Questa operazione presenta evidenti vantaggi per tutti i soggetti coinvolti.
Per un verso, infatti, l’emittente può implementare il proprio palinsesto ottenendo programmi a costo zero; e per altro verso il produttore può accrescere la propria visibilità e le proprie “chance” di lavoro.
In tale ottica, il contratto di bartering può senza dubbio rappresentare un’opportunità di crescita per tutti quegli operatori, giovani ma non solo, che abbiano voglia di sperimentare le proprie capacità, di implementare il proprio bagaglio professionale e di affermarsi su un mercato che ha bisogno più che mai di idee nuove.
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2013/02/01
Publiredazionale: quando è lecito?
La scelta di concludere un contratto per la realizzazione di un redazionale pubblicitario non sempre è accompagnata dalla consapevolezza delle criticità che caratterizzano tale forma promozionale e della necessità di adottare opportuni accorgimenti sia in sede contrattuale sia in sede esecutiva.
Peculiarità dei redazionali pubblicitari è infatti la promozione di un brand, un prodotto o un servizio in un contesto tipicamente editoriale: si pensi ad un articolo giornalistico o ad un blog. In sostanza si tratta di un vero e proprio “travestimento”: la comunicazione commerciale si traveste da comunicazione “informativa”, sicché il contenuto pubblicitario ed il contenuto editoriale tendono a fondersi sino a diventare, talvolta, un unicum non scindibile.
Ma è proprio questa caratteristica del publiredazionale che fa scattare l’allarme.
Una forma promozionale che si confonde con il contenuto editoriale contrasta, evidentemente, con le norme che impongono, sia a livello legislativo che regolamentare, la riconoscibilità e la trasparenza delle comunicazioni commerciali, ponendosi, dunque, ai confini della pubblicità occulta. Ed il rischio di illiceità appare tanto più alto quanto più la comunicazione promozionale appare non distinguibile dal contesto editoriale in cui è inserita; ossia quanto più l’elogio del brand, del prodotto o del servizio appare frutto dell’opinione e dei gusti del blogger o del giornalista.
Pertanto affinché il publiredazionale sia lecito occorre che, ferme restando le peculiarità di tale forma promozionale, il pubblico sia messo in condizione di percepire il carattere promozionale delle informazioni ricevute, mediante l’impiego di idonei accorgimenti di carattere stilistico e grafico.
E di tali misure si dovrà, ovviamente, tenere conto nella stesura del regolamento contrattuale tra impresa committente ed editore. È chiaro, infatti, che se i redazionali pubblicitari sono ai limiti dell’illecito, i contratti sottostanti rischiano di essere nulli per contrarietà alle norme di legge e, segnatamente, per violazione del divieto di pubblicità occulta.
Peculiarità dei redazionali pubblicitari è infatti la promozione di un brand, un prodotto o un servizio in un contesto tipicamente editoriale: si pensi ad un articolo giornalistico o ad un blog. In sostanza si tratta di un vero e proprio “travestimento”: la comunicazione commerciale si traveste da comunicazione “informativa”, sicché il contenuto pubblicitario ed il contenuto editoriale tendono a fondersi sino a diventare, talvolta, un unicum non scindibile.
Ma è proprio questa caratteristica del publiredazionale che fa scattare l’allarme.
Una forma promozionale che si confonde con il contenuto editoriale contrasta, evidentemente, con le norme che impongono, sia a livello legislativo che regolamentare, la riconoscibilità e la trasparenza delle comunicazioni commerciali, ponendosi, dunque, ai confini della pubblicità occulta. Ed il rischio di illiceità appare tanto più alto quanto più la comunicazione promozionale appare non distinguibile dal contesto editoriale in cui è inserita; ossia quanto più l’elogio del brand, del prodotto o del servizio appare frutto dell’opinione e dei gusti del blogger o del giornalista.
Pertanto affinché il publiredazionale sia lecito occorre che, ferme restando le peculiarità di tale forma promozionale, il pubblico sia messo in condizione di percepire il carattere promozionale delle informazioni ricevute, mediante l’impiego di idonei accorgimenti di carattere stilistico e grafico.
E di tali misure si dovrà, ovviamente, tenere conto nella stesura del regolamento contrattuale tra impresa committente ed editore. È chiaro, infatti, che se i redazionali pubblicitari sono ai limiti dell’illecito, i contratti sottostanti rischiano di essere nulli per contrarietà alle norme di legge e, segnatamente, per violazione del divieto di pubblicità occulta.
2013/01/15
Le caratteristiche del contratto di concessione pubblicitaria
Con il contratto di concessione pubblicitaria, un soggetto (il concedente) affida ad un altro soggetto (il concessionario) l’attività di ricerca e la conclusione dei contratti per la diffusione di pubblicità sul proprio mezzo di diffusione. Ciò a fronte di un corrispettivo rappresentato generalmente da una percentuale del fatturato prodotto dalla conclusione dei contratti con gli inserzionisti.
Nonostante i tentativi operati da dottrina e giurisprudenza, il contratto di concessione pubblicitaria non può essere ricondotto ad uno schema tipico disciplinato dal codice civile e ciò determina una maggiore autonomia delle parti nella determinazione del contenuto contrattuale, fatta salva, naturalmente, l’applicazione delle norme inderogabili di legge.
Sovente il contratto di concessione è caratterizzato dalla previsione di vincoli di esclusiva a carico di una o di entrambe le parti. Si potrà dunque prevedere che il concedente non possa rivolgersi ad altre società per la raccolta di pubblicità oppure che il concessionario non possa acquisire incarichi da imprese concorrenti della concedente. I vincoli di esclusiva, naturalmente, possono essere modellati diversamente a seconda dei casi pattuendo condizioni più o meno stringenti ed incisive. Allo stesso modo potrebbero essere introdotte delle deroghe: per esempio si potrebbe prevedere l’applicazione dell’esclusiva soltanto in relazione alla pubblicità di determinate tipologie di prodotti o servizi, oppure potrebbe essere applicata alla pubblicità nazionale ma non anche alla pubblicità locale. Il mancato rispetto del vincolo di esclusiva, tipicamente, è sanzionato dalla risoluzione del contratto o dal pagamento di penali.
Un profilo senz’altro importante è rappresentato dalla individuazione delle tariffe per la vendita di pubblicità agli inserzionisti da parte del concessionario. Sotto tale aspetto è possibile ravvisare diverse soluzioni nella prassi contrattuale. In taluni casi, infatti, è possibile trovare condizioni molto rigide caratterizzate dalla predeterminazione nel contratto di concessione delle tariffe applicabili, mentre in altri casi è lasciata maggiore discrezionalità alla concessionaria che potrà negoziare al meglio i contratti. Naturalmente tra le due opzioni possono essere individuate soluzioni “mediane”, ritagliate sulle esigenze e sulla politica delle imprese coinvolte.
Con il contratto di concessione se da un lato la concessionaria si obbliga a concludere contratti con gli inserzionisti, dall’altro la concedente assume l’obbligo di dare esecuzione a tali contratti. Tuttavia quest’ultima potrebbe riservarsi il potere di rifiutare di veicolare sul proprio mezzo di diffusione quei messaggi che per il contenuto o che per la natura degli inserzionisti siano in contrasto con la legge, l’ordine pubblico, il buon costume o, più semplicemente, con la propria politica aziendale. Tale condizione rappresenta, evidentemente, una cautela per la concedente che rischierebbe di incorrere in responsabilità anche gravi qualora diffondesse messaggi pubblicitari che per qualsiasi ragione siano da considerare in contrasto con la legge.
In ordine al corrispettivo spettante alla concessionaria per l’attività svolta, normalmente, esso consiste nella corresponsione di una percentuale sul fatturato derivante dalla conclusione dei contratti con gli inserzionisti; percentuale sovente pari ad un terzo dei ricavi con versamento su base, spesso, mensile o trimestrale. Cosa succede se l’inserzionista non paga? Generalmente il rischio è distribuito sul concedente e sul concessionario in proporzione alle quote di ciascuno.
Nonostante i tentativi operati da dottrina e giurisprudenza, il contratto di concessione pubblicitaria non può essere ricondotto ad uno schema tipico disciplinato dal codice civile e ciò determina una maggiore autonomia delle parti nella determinazione del contenuto contrattuale, fatta salva, naturalmente, l’applicazione delle norme inderogabili di legge.
Sovente il contratto di concessione è caratterizzato dalla previsione di vincoli di esclusiva a carico di una o di entrambe le parti. Si potrà dunque prevedere che il concedente non possa rivolgersi ad altre società per la raccolta di pubblicità oppure che il concessionario non possa acquisire incarichi da imprese concorrenti della concedente. I vincoli di esclusiva, naturalmente, possono essere modellati diversamente a seconda dei casi pattuendo condizioni più o meno stringenti ed incisive. Allo stesso modo potrebbero essere introdotte delle deroghe: per esempio si potrebbe prevedere l’applicazione dell’esclusiva soltanto in relazione alla pubblicità di determinate tipologie di prodotti o servizi, oppure potrebbe essere applicata alla pubblicità nazionale ma non anche alla pubblicità locale. Il mancato rispetto del vincolo di esclusiva, tipicamente, è sanzionato dalla risoluzione del contratto o dal pagamento di penali.
Un profilo senz’altro importante è rappresentato dalla individuazione delle tariffe per la vendita di pubblicità agli inserzionisti da parte del concessionario. Sotto tale aspetto è possibile ravvisare diverse soluzioni nella prassi contrattuale. In taluni casi, infatti, è possibile trovare condizioni molto rigide caratterizzate dalla predeterminazione nel contratto di concessione delle tariffe applicabili, mentre in altri casi è lasciata maggiore discrezionalità alla concessionaria che potrà negoziare al meglio i contratti. Naturalmente tra le due opzioni possono essere individuate soluzioni “mediane”, ritagliate sulle esigenze e sulla politica delle imprese coinvolte.
Con il contratto di concessione se da un lato la concessionaria si obbliga a concludere contratti con gli inserzionisti, dall’altro la concedente assume l’obbligo di dare esecuzione a tali contratti. Tuttavia quest’ultima potrebbe riservarsi il potere di rifiutare di veicolare sul proprio mezzo di diffusione quei messaggi che per il contenuto o che per la natura degli inserzionisti siano in contrasto con la legge, l’ordine pubblico, il buon costume o, più semplicemente, con la propria politica aziendale. Tale condizione rappresenta, evidentemente, una cautela per la concedente che rischierebbe di incorrere in responsabilità anche gravi qualora diffondesse messaggi pubblicitari che per qualsiasi ragione siano da considerare in contrasto con la legge.
In ordine al corrispettivo spettante alla concessionaria per l’attività svolta, normalmente, esso consiste nella corresponsione di una percentuale sul fatturato derivante dalla conclusione dei contratti con gli inserzionisti; percentuale sovente pari ad un terzo dei ricavi con versamento su base, spesso, mensile o trimestrale. Cosa succede se l’inserzionista non paga? Generalmente il rischio è distribuito sul concedente e sul concessionario in proporzione alle quote di ciascuno.
2012/11/29
Internet: quale tutela per i minori?
Lo sviluppo di internet ha posto un ulteriore problema che attiene alla tutela dei minori. La libertà di manifestazione del pensiero attraverso tutti i mezzi di comunicazione e informazione, e dunque anche attraverso internet, incontra il limite della tutela dei minori, sancito dall’articolo 31 della Costituzione.
Con riferimento alla lotta contro la pedopornografia in internet, la legge 3 agosto 1998 n. 269 ha introdotto come apposita fattispecie criminosa quella di colui che con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, divulga e pubblicizza materiale pedopornografico ovvero divulga informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale degli stessi.
La medesima legge ha individuato inoltre i mezzi per contrastare tale fenomeno: in particolare, ha previsto che, su richiesta dell’autorità giudiziaria, il personale addetto a garantire la sicurezza e la regolarità dei servizi di telecomunicazione presso il Ministero dell’Interno possa utilizzare indicazioni di copertura, anche per attivare siti nelle reti, realizzare o gestire aree di comunicazione o scambio su reti o sistemi telematici ovvero per partecipare ad esse.
A ciò si aggiunga, in considerazione dell’ultraterritorialità delle comunicazioni telematiche, la disposizione concernente il fatto commesso all’estero: la disciplina contenuta in detta legge si applica anche quando si tratti di delitto commesso all’estero da cittadino italiano, o in danno di cittadino italiano, o da cittadino straniero in concorso con cittadino italiano; in quest’ultima ipotesi, però, con la precisazione che il cittadino straniero è punibile quando si tratta di delitto per il quale è prevista la pena della reclusione non inferire a cinque anni.
La disciplina per il contrasto alla pedopornografia in internet è stata ulteriormente rafforzata dalla legge di modifica 6 febbraio 2006 n. 38.
Quest’ultima ha istituito presso il Ministero dell'interno il Centro nazionale per il contrasto della pedopornografia su internet, al fine di raccogliere tutte le segnalazioni riguardanti siti che diffondono materiale concernente l'utilizzo sessuale dei minori.
Inoltre sono stati previsti specifici obblighi a carico dei fornitori di servizi della società dell’informazione: essi hanno un obbligo di segnalazione al Centro, qualora ne vengano a conoscenza, di qualsiasi soggetto che, a qualunque titolo, diffonda, distribuisca o faccia commercio di materiale pedopornografico.
I medesimi fornitori, al fine di impedire l'accesso ai siti segnalati dal Centro, sono obbligati ad utilizzare gli strumenti di filtraggio e le relative soluzioni tecnologiche conformi ai requisiti individuati con decreto del Ministro dello Sviluppo economico, di concerto con il Ministro per l'innovazione e le tecnologie e sentite le associazioni maggiormente rappresentative dei fornitori di connettività.
La tutela dei minori in internet rileva anche sotto un altro aspetto: l’accesso a contenuti destinati ad un pubblico esclusivamente adulto.
Al riguardo, il decreto legislativo 9 maggio 2001, n. 269 ha previsto la predisposizione di un nuovo Codice Media e minori, recante misure autoregolamentari applicabili non solo al settore televisivo, ma anche ai videogiochi, alla telefonia e, appunto, ad internet.
Attualmente esiste, accanto al Codice Tv e Minori, un codice di autoregolamentazione approvato dal Ministero dello Sviluppo economico nel 2003 e predisposto da alcune associazioni di internet providers.
Tale codice fornisce una serie di indicazioni vincolanti gli internet provider aderenti; tali prescrizioni attengono in particolare alla messa a disposizione di servizi di navigazione differenziata e di classificazione dei contenuti ad accesso condizionato, nonché all’impiego di identificatori d’età, al fine di evitare l’accesso dei minori a programmi ad essi inadatti; e da ultimo il rispetto di idonee misure volte a garantire la tutela della privacy, salvaguardando altresì i minori dai rischi della pedopornografia.
Con riferimento alla lotta contro la pedopornografia in internet, la legge 3 agosto 1998 n. 269 ha introdotto come apposita fattispecie criminosa quella di colui che con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, divulga e pubblicizza materiale pedopornografico ovvero divulga informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale degli stessi.
La medesima legge ha individuato inoltre i mezzi per contrastare tale fenomeno: in particolare, ha previsto che, su richiesta dell’autorità giudiziaria, il personale addetto a garantire la sicurezza e la regolarità dei servizi di telecomunicazione presso il Ministero dell’Interno possa utilizzare indicazioni di copertura, anche per attivare siti nelle reti, realizzare o gestire aree di comunicazione o scambio su reti o sistemi telematici ovvero per partecipare ad esse.
A ciò si aggiunga, in considerazione dell’ultraterritorialità delle comunicazioni telematiche, la disposizione concernente il fatto commesso all’estero: la disciplina contenuta in detta legge si applica anche quando si tratti di delitto commesso all’estero da cittadino italiano, o in danno di cittadino italiano, o da cittadino straniero in concorso con cittadino italiano; in quest’ultima ipotesi, però, con la precisazione che il cittadino straniero è punibile quando si tratta di delitto per il quale è prevista la pena della reclusione non inferire a cinque anni.
La disciplina per il contrasto alla pedopornografia in internet è stata ulteriormente rafforzata dalla legge di modifica 6 febbraio 2006 n. 38.
Quest’ultima ha istituito presso il Ministero dell'interno il Centro nazionale per il contrasto della pedopornografia su internet, al fine di raccogliere tutte le segnalazioni riguardanti siti che diffondono materiale concernente l'utilizzo sessuale dei minori.
Inoltre sono stati previsti specifici obblighi a carico dei fornitori di servizi della società dell’informazione: essi hanno un obbligo di segnalazione al Centro, qualora ne vengano a conoscenza, di qualsiasi soggetto che, a qualunque titolo, diffonda, distribuisca o faccia commercio di materiale pedopornografico.
I medesimi fornitori, al fine di impedire l'accesso ai siti segnalati dal Centro, sono obbligati ad utilizzare gli strumenti di filtraggio e le relative soluzioni tecnologiche conformi ai requisiti individuati con decreto del Ministro dello Sviluppo economico, di concerto con il Ministro per l'innovazione e le tecnologie e sentite le associazioni maggiormente rappresentative dei fornitori di connettività.
La tutela dei minori in internet rileva anche sotto un altro aspetto: l’accesso a contenuti destinati ad un pubblico esclusivamente adulto.
Al riguardo, il decreto legislativo 9 maggio 2001, n. 269 ha previsto la predisposizione di un nuovo Codice Media e minori, recante misure autoregolamentari applicabili non solo al settore televisivo, ma anche ai videogiochi, alla telefonia e, appunto, ad internet.
Attualmente esiste, accanto al Codice Tv e Minori, un codice di autoregolamentazione approvato dal Ministero dello Sviluppo economico nel 2003 e predisposto da alcune associazioni di internet providers.
Tale codice fornisce una serie di indicazioni vincolanti gli internet provider aderenti; tali prescrizioni attengono in particolare alla messa a disposizione di servizi di navigazione differenziata e di classificazione dei contenuti ad accesso condizionato, nonché all’impiego di identificatori d’età, al fine di evitare l’accesso dei minori a programmi ad essi inadatti; e da ultimo il rispetto di idonee misure volte a garantire la tutela della privacy, salvaguardando altresì i minori dai rischi della pedopornografia.
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