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2014/09/30

La responsabilità del provider: Delta Tv vs Google/Youtube

Il Tribunale di Torino, con ordinanza del 23 giugno 2014, nell’ambito di un procedimento attivato da Delta TV nei confronti di Google Ireland Holdings, Google Inc, e Youtube LLC, in relazione alla diffusione di materiale audiovisivo protetto, è intervenuto sul delicato tema del bilancia-mento tra la tutela della proprietà intellettuale e la salvaguardia della libertà di espressione nella società dell’informazione; tema che involge un’ulteriore spinosa questione: la responsabilità degli internet service provider.
Delta TV, asserendo di essere esclusiva titolare dei diritti di sfruttamento economico di alcune telenovelas sudamericane, inclusa la versione italiana delle stesse, ed avendo rilevato la presenza di alcuni episodi delle medesime sui siti Youtube.it e .com, a seguito di formale diffida alle controparti, chiedeva, in sede cautelare, (i) la cancellazione o rimozione dei files relativi alle telenovelas; (ii) l’inibizione dell’ulteriore trasmissione o diffusione delle stesse e, infine (iii) l’imposizione di una penale, ex art. 156 l.d.a., per ogni inosservanza agli ordini di rimozione e di inibitoria.
Tali doglianze, inizialmente disattese dal Tribunale, trovavano tuttavia accoglimento nel successivo procedimento di reclamo, in occasione del quale i giudici torinesi hanno confermato l’orientamento nazionale e comunitario prevalente.
Nel ricercare il giusto equilibrio tra tutela della proprietà intellettuale e della libertà d’espressione, i giudici torinesi richiamano innanzitutto alcuni fondamentali principi dell’ordinamento comunitario  volti a delineare l’assetto delle responsabilità dei soggetti coinvolti nella prestazione dei servizi della  società dell’informazione:
- l’hosting provider è esente da responsabilità nella misura in cui svolga un’attività di tipo tecnico, automatico e passivo consistente, unicamente, nel fornire accesso ad una rete di comunicazione elettronica;
- l’hosting provider, appena ricevuta notizia dell’illecito, è tenuto ad attivarsi per la rimozione delle informazioni o per l’impedimento dell’accesso alle stesse;
- il ricorrere di ipotesi di limitazione di responsabilità non esclude la possibilità di azioni inibitorie;
- fermo il divieto di imporre all’hosting provider un obbligo di sorveglianza preventivo e generale, non è esclusa la possibilità di imporre obblighi di sorveglianza in casi specifici.  In proposito la giurisprudenza comunitaria ha precisato che pur potendosi pretendere dal provider che questi prevenga ulteriori future violazioni, non sono ammissibili provvedimenti che impongano, attraverso misure eccessivamente gravose, obblighi di controllo diretti a prevenire qualsiasi futura violazione dei diritti di proprietà intellettuale .
Il Tribunale, muovendo dai principi dianzi esposti, recepiti peraltro dall’ordinamento interno così come dalla prevalente giurisprudenza nazionale, ha compiuto un’analisi della figura dell’hosting provider che tenesse conto delle evoluzioni delle tecno-logie e delle strategie commerciali del settore.
L’hosting provider, infatti, è ben lungi oggi dall’essere una figura passiva e neutra rispetto all’organizzazione e alla gestione dei contenuti.  Il prestatore, e segnatamente Youtube, svolge un’attività finalizzata alla gestione complessiva dei contenuti caricati dagli utenti, i quali vengono riorganizzati, indirizzati e “suggeriti” ai singoli utenti di cui son tracciati i profili di consumo.  Tale attività – che costituisce il valore aggiunto del servizio di Youtube determinando un accrescimento degli introiti pubblicitari della piattaforma implica che il prestatore diventi portatore di una significativa potenzialità lesiva di diritti di terzi, con l’effetto che diventa necessaria una maggiore responsabilità a suo carico.  In tale ottica, dunque devono essere interpretate le norme sia comunitarie e nazionali.
Conseguentemente, secondo i giudici torinesi, avuto riguardo al caso di specie, deve ritenersi che sia del tutto legittimo un provvedimento che, in via cautelare, imponga al prestatore non solo di porre fine a violazioni già perpetrate, ma di prevenire anche nuove violazioni.  Segnatamente ben può esse-re imposto al prestatore l’obbligo di impedire nuovi caricamenti dei medesimi contenuti sulla propria piattaforma.  Ciò non si traduce infatti in un obbligo di sorveglianza preventivo e generale ma consiste in un intervento specifico, mirato su contenuti ben determinati e successivo ad una denuncia.  Inoltre tale intervento non risulterebbe neanche eccessivamente gravoso, stante la possibilità per il prestatore di utilizzare a tal fine il Content ID, tecnologia che consente agevolmente di individuare, attraverso un apposito software, i file lesivi dei diritti terzi.
Il Tribunale, dunque, accoglie l’istanza di reclamo avanzata da Delta Tv e ordina a Google Inc. e a Youtube LLC di rimuovere dalla piattaforma Youtube gli audiovisivi di cui agli URL comunicati da Delta TV; ordina loro di impedire l’ulteriore caricamento sulla piattaforma dei medesimi materiali impiegando a tal fine, a propria cura e spese, il software Content ID e utilizzando come references file i contenuti caricati ai predetti URL.  Rigetta invece la domanda cautelare nei confronti di Google Ireland Holdings .
L’ordinanza esaminata si colloca nel filone giurisprudenziale attualmente prevalente sia a livello comunitario che nazionale.
Rammentando la possibilità di enucleare tre diverse linee di pensiero che interpretano in maniera più o meno stringente la normativa vigente , la pronuncia considerata rientra nella corrente che ha tentato di risolvere  le problematiche afferenti la responsabilità del provider, creando la figura dell’hoster attivo.
La giurisprudenza, infatti, preso atto delle evoluzioni tecnologiche e delle strategie commerciali nella società dell’informazione, avuto particolare riguardo a provider come Youtube, è giunta a distinguere tra la figura dell’hosting provider “passivo” che effettivamente si limita ad una mera e neutra attività di intermediazione, e la figura  dell’hosting provider “attivo”, che di fatto svolge una significativa attività di organizzazione e gestione del materiale caricato dagli utenti, guadagnando dall’accrescimento degli introiti pubblicitari che tale attività di riorganizzazione e targettizzazione sulle abitudini dell’utente comporta .  Tale distinzione concettuale si traduce anche in una differente valutazione delle responsabilità attribuibili agli hosting provider.  E’ chiaro infatti che attività così significative come quelle descritte non potrebbero giustificare un’assenza o una significativa limitazione di responsabilità in capo al prestatore.
L’ordinanza in commento è conforme, inoltre, all’orientamento attualmente prevalente circa l’applicazione del principio per cui l’obbligo di rimozione sorge unicamente a fronte di una diffida specifica contenente cioè gli indirizzi compendiati in singoli URL.
Allo stesso modo, la suddetta pronuncia si pone in linea con la corrente predominante anche in relazione alla possibilità di imporre misure intese a prevenire la commissione di ulteriori illeciti.
Conformemente ai principi statuiti dalla Corte di Giustizia, in base ai quali non sono ammessi né obblighi di sorveglianza preventivi e generalizzati  né misure sproporzionate ed eccessivamente inique o costose, i giudici torinesi hanno ritenuto  che la finalità di prevenzione degli illeciti possa essere utilmente conseguita mediante l’impiego, da parte del provider, del software Content ID, utilizzando come references file i contenuti caricati agli URL indicati dal titolare dei diritti.
L’imposizione di tale misura non sembra che possa contrastare con i principi generali in materia, per essere la predetta circoscritta a specifici contenuti previamente determinati, e per essere altresì successiva rispetto ad una denuncia già effettuata.  Inoltre l’adempimento da parte del prestatore non sembra eccessivamente oneroso sul piano pratico: il prestatore, infatti, come si diceva innanzi, non è tenuto neanche a caricare i references file, già presenti sulla piattaforma in corrispondenza degli URL segnalati; né si ritiene che sia iniqua o sproporzionata la circostanza che siano posti a carico del prestatore i costi per l’espletamento della procedura qui indicata.

2013/04/15

Cloud computing: cenni sugli aspetti legali

Il Cloud computing consiste nella possibilità di memorizzare, archiviare ed elaborare dati mediante l’uso di risorse informatiche virtualizzate. Pur potendosi distinguere tra infrastrutture provate e pubbliche, ciascuna dotata di proprie peculiarità, è possibile individuare dei tratti comuni alle diverse piattaforme.
In particolare, i dati non risiedono fisicamente nell’ambiente informatico del fruitore bensì nel server del provider e ad essi può accedersi unicamente via internet; inoltre la medesima piattaforma può contenere dati di diversi utenti, il che implica tra l’altro la necessità di sistemi di sicurezza adeguati che garantiscano il più elevato livello di protezione e riservatezza.
Il cloud presenta evidenti vantaggi per i fruitori, rappresentati oltre che dalla possibilità di accedere ai dati dal web, anche dalla disponibilità di ampi spazi di memoria e dalla possibilità di conferire a terzi l’incarico di gestire i propri i dati, in un’ottica di esternalizzazione delle attività aziendali.
Accanto agli indiscutibili vantaggi, il cloud presenta anche alcuni rischi, rappresentati innanzitutto dall’effettiva garanzia di disponibilità e accessibilità dei dati che dipende in primo luogo dalla qualità dei servizi di connessione (tematica che si ricollega tra l’altro all’annosa questione della diffusione della banda larga) oltre che dal grado di affidabilità della piattaforma; affidabilità che è richiesta anche in considerazione di un ulteriore rischio, connesso alla protezione dei dati in termini di integrità e sicurezza dei medesimi, anche sotto il profilo della riservatezza.
Tale ultimo aspetto rileva peraltro non solo in relazione alla tutela dei dati del fruitore, ma anche in relazione ad eventuali dati di terzi da quest’ultimo detenuti e rispetto ai quali il provider deve assumere un ruolo attivo di tutela.
Deve peraltro rilevarsi che alcune perplessità sollevate in relazione al fenomeno del cloud derivano anche da una carenza, allo stato attuale, di una normativa che regoli adeguatamente l’uso di tale tecnologia. In assenza di un quadro normativo esaustivo, diventa dunque indispensabile affidarsi ad una regolamentazione contrattuale completa ed efficace che consenta al fruitore del servizio di godere di un adeguato livello di tutela.
Il regolamento contrattuale dovrà recare, infatti, indicazioni dettagliate in merito agli standard del servizio di cloud e alle relative garanzie e responsabilità del provider specialmente in relazione a qualità, sicurezza e riservatezza. Fondamentale, in tale ottica, anche l’individuazione del luogo di conservazione dei dati, al fine di determinare la legge applicabile; problema peraltro particolarmente sentito in considerazione del continuo flusso di dati tra soggetti diversi, come avviene per esempio nell’ipotesi in cui il fornitore del servizio conferisca a terzi l’incarico di conservare parte dei dati acquisiti.
Quelli riportati, naturalmente, sono solo pochi cenni di un tema ben più complesso e articolato, ma pongono in evidenza, anche tenuto conto dell’innovatività di tale servizio e delle lacune normative in materia, la necessità di regolamentarne la fruizione sulla base di parametri contrattuali ben definiti.

2012/06/19

Social Media: come tutelare il marchio d'impresa?

Di seguito l'articolo estratto dalla rubrica "Diritto e Comunicazione" che curo per il Social Business Comunicazione Italiana (Link all Articolo originale)
Nell'articolo sintetizzo brevemente gli spunti offerti in occasione del mio intervento al Forum della Comunicazione tenutosi al Palazzo dei Congressi di Roma lo scorso 5 giugno.
                                                                         
"In occasione del Forum della Comunicazione 2012 abbiamo offerto alcuni spunti sul rapporto tra social media e protezione del marchio d’impresa. In particolare abbiamo osservato come la maggiore visibilità del brand su internet, nell’implicare anche una maggiore esposizione a commenti e recensioni negative, possa determinare ripercussioni sulla reputazione del marchio. Un rischio che tuttavia può essere contenuto, non solo attraverso una efficace attività di monitoraggio e livellamento dei feedback, ma anche e soprattutto attraverso una politica intesa a tutelare in via preventiva l’immagine aziendale, agendo su tutti quei fattori suscettibili di incidere negativamente sulla stessa.
In questa ottica si colloca, per esempio, il rispetto delle norme in tema di pubblicità e, più in generale, in tema di tutela dei consumatori, al fine di evitare che pratiche non corrette o carenze informative possano, di fatto, frustrare l’attività di coinvolgimento e fidelizzazione degli utenti.
Successivamente abbiamo posto l’accento sulla necessità di una maggiore responsabilizzazione dell’azienda, insistendo sull’importanza del ricorso a tre strumenti chiave per la protezione del brand: registrazione dei marchi; monitoraggio dell’attività su internet; predisposizione di un piano di tutela adeguato. E, con particolare riguardo alla registrazione, si è osservato come già in tale sede sia possibile adottare una serie di accorgimenti in grado di estendere il livello di protezione del marchio. Rinviando, tuttavia, l’approfondimento di quest’argomento ad altra occasione, appare utile soffermarsi su un ulteriore aspetto, ovvero sui margini di tutela a fronte di condotte illegittime dei competitor. Immaginiamo, per esempio, l’apertura di un falso account o di un gruppo recante un marchio identico o simile a quello della nostra azienda, o l’impiego dello stesso su pagine estranee alla nostra attività.
Nel mutato contesto dei social media, in cui vengono enfatizzate le funzioni pubblicitarie e di investimento del brand aziendale, anche l’ambito di protezione dello stesso tende a subire un progressivo ampliamento: non si ha più riguardo al marchio tradizionalmente inteso come mero strumento di indicazione dell’origine imprenditoriale dei beni, ma come strumento più che mai inteso a tutelare gli investimenti effettuati dal titolare. Tutela, dunque, contro l’offuscamento e la corrosione in seguito ad abusi che possano pregiudicare l’efficacia distintiva o la reputazione del marchio, ma anche tutela contro il parassitismo connesso a condotte intese a beneficiare fraudolentemente della notorietà e del potere attrattivo del brand.
Il tema della protezione del marchio nell’ambito dei social media impone tra l’altro delicate riflessioni sul bilanciamento degli interessi in gioco. Ci muoviamo, infatti, in una realtà in cui aumentano i soggetti coinvolti e gli interessi rilevanti; compare, tra gli altri, un nuovo interesse: quello del titolare del social network a non veder limitata la propria libertà imprenditoriale, o compromesso - in qualsiasi modo- il proprio business. E ciò si riflette, evidentemente, anche sulla valutazione dei profili di responsabilità ad esso addebitabili in ipotesi di abuso del marchio altrui attraverso la piattaforma: problema che viene risolto, tendenzialmente, ricorrendo al principio generale secondo cui il provider risponde degli illeciti commessi sulla propria piattaforma solo quando sia a conoscenza di tali attività e vi abbia contribuito, ovvero non si sia attivato per la rimozione delle pagine e/o dei contenuti illegittimi nonostante la richiesta del titolare del marchio leso o delle autorità.
Quelli accennati sono solo alcuni dei profili e delle considerazioni che la moderna comunicazione d’impresa impone, ma resta un dato di fatto e cioè l’enorme potenziale innovativo dei social network in rapporto alla spendibilità del marchio d’impresa e la necessità, allo stesso tempo, per ciascuna azienda di vedere adeguatamente tutelato il proprio brand".


Questo tema sarà oggetto di ulteriori approfondimenti in occasione di un ciclo di seminari e convegni che svolgeremo in autunno.
Inoltre, chiunque volesse maggiori informazioni al riguardo può contattarmi all'indirizzo e-mail avv.criromano@gmail.com oppure cristina.romano@lawtaxorg.com.
E' possibile, altresì, visitare la pagina del mio dipartimento sul sito di Metis Legal and Tax reperibile all'indirizzo www.lawtaxorg.com.