2015/04/30

Germany: the first decision of the ZAK in matter of virtual product placement

On April 15, 2014, the Kommission für Zulassung und Aufsicht issued its first decision in matter of virtual product placement.
The decision was about a 15-second sequence of a poster advertising in the film “Hansel &Gretel: Witch Hunters” (RTL2 programme “Berlin Tag & Nacht”, 2013). In the opinion of the Kommission, the sequence did not breach the Land media authorities’ advertising regulations, because the product placement did not appear artificial and forced, as well as it respected the regulation on the matter, like labelling, independence of the broadcaster, no excessive prominence of the product).

2015/03/16

Germany: surreptious advertising

On March, 9 2015, the Bavarian Administrative Court, ruled that the repeated appearance of a logo during a television programme constitutes illegal surreptitious advertising. 
The case no. 7 B 14/1605 concerned the broadcast of the programme ‘Learn from the Pros’ by TV channel Sport1, in which the logo of an internet provider was showed in every shot and in particular when viewers were paying particularly close attention. Moreover, at the end of the programme, viewers were encouraged to visit the website of the internet provider.
In the opinion of the Court, the intensity and the frequency of the logo in the programme, as well as the lack of an advertising label demonstrated the intention to mislead the viewers.


2014/12/23

Garante della privacy: provvedimenti sul diritto all'oblio

Riporto di seguito un estratto della newsletter del Garante Privacy, consultabile sul sito dell'autorità.
"Il Garante privacy ha adottato i primi provvedimenti in merito alle segnalazioni presentate da cittadini dopo il mancato accoglimento da parte di Google delle loro richieste di deindicizzare pagine presenti sul web che riportavano dati personali ritenuti non più di interesse pubblico. A seguito della recente sentenza della Corte di Giustizia europea sul diritto all'oblio, Google è infatti tenuta a dare un riscontro alle richieste di cancellazione, dai risultati della ricerca, delle pagine web che contengono il nominativo del richiedente reperibili utilizzando come parola chiave il nome dell'interessato.
La società deve valutare di volta in volta vari elementi quali ad esempio: l'interesse pubblico a conoscere la notizia, il tempo trascorso dall'avvenimento, l'accuratezza della notizia e la rilevanza della stessa nell'ambito professionale di appartenenza. Di fronte al diniego di Google, gli utenti italiani possono rivolgersi al Garante per la privacy o all'autorità giudiziaria.
Le segnalazioni e i ricorsi pervenuti al Garante, riguardano la richiesta di deindicizzazione di articoli relativi a vicende processuali ancora recenti e in alcuni casi non concluse.
In sette dei nove casi [doc. web nn. 3623819, 3623851, 3623897, 3623919, 3623954, 3624003 e 3624021] definiti il Garante non ha accolto la richiesta degli interessati, ritenendo che la posizione di Google fosse corretta in quanto è risultato prevalente l'aspetto dell'interesse pubblico ad accedere alle informazioni tramite motori di ricerca, sulla base del fatto che le vicende processuali sono risultate essere troppo recenti e non ancora espletati tutti i gradi di giudizio.
In due casi [doc. web nn. 3623877 e 3623978], invece, l'Autorità ha accolto la richiesta dei segnalanti. Nel primo, perché nei documenti pubblicati su un sito erano presenti numerose informazioni eccedenti, riferite anche a persone estranee alla vicenda giudiziaria narrata. Nel secondo, perché la notizia pubblicata era inserita in un contesto idoneo a ledere la sfera privata della persona. Tutto ciò in violazione delle norme del Codice privacy e del codice deontologico che impone di diffondere dati personali nei limiti dell'"essenzialità dell'informazione riguardo a fatti di interesse pubblico" e di non descrivere abitudini sessuali riferite a una determinata persona identificata o identificabile. L'Autorità ha quindi prescritto a Google di deindicizzare le url segnalate".

2014/10/30

Garante Privacy: email promozionali senza consenso

Il Garante ha dichiarato illecito il trattamento di dati effettuato da una società che inviava email promozionali agli utenti che avevano sottoscritto un form online per la ricezione di newsletter.
Il Garante ha ribadito il principio per il quale i cittadini devono poter essere in grado di decidere liberamente se ricevere o meno comunicazioni promozionali, al di là del consenso prestato per la ricezione di newsletter. 
Da tale declaratoria discende dunque l'inibizione alla prosecuzione del trattamento per finalità promozionali. Qualora l'azienda intenda inviare email di questo tipo dovrà modificare il form di registrazione in modo da consentire agli utenti la possibilità di esprimere, un preventivo e specifico consenso per la ricezione di email promozionali. 
L'Autorità sta valutando, con separato provvedimento, l'applicazione della sanzione amministrava per l'illecito commesso.

2014/10/22

Garante Privacy: Big Data nelle statistiche nazionali

Il Garante ha dato l'ok allo schema di Programma statistico nazionale 2014-2016 predisposto dall'Istat, che prevede la possibilità di utilizzare i Big Data di telefonia mobile, al fine di stimare, a livello aggregato, i flussi di mobilità intercomunali delle persone. 
A tal fine tratta i dati relativi al "call detail record" (cdr), ossia  un numero progressivo assegnato dal gestore telefonico all'utente che effettua la chiamata, al quale vanno aggiunte le informazioni relative al Comune nel quale si trova la cella di effettuazione, la data e l'ora della chiamata. 
Il Garante, tuttavia, ha richiesto precise garanzie a tutela degli interessati, dato il rischio di giungere ad una re-identificazione dell'interessato attraverso informazioni apparentemente anonime.
In particolare l'Istat dovrà fare in modo che sia esclusa qualsiasi possibilità di raccordo tra il cdr e gli identificativi originali. Inoltre, dovranno essere oscurate le frequenze di flusso inferiori a tre unità.
Il Garante si è infine riservato di svolgere controlli mirati anche sui trattamenti svolti dai gestori telefonici.
 

2014/09/30

La responsabilità del provider: Delta Tv vs Google/Youtube

Il Tribunale di Torino, con ordinanza del 23 giugno 2014, nell’ambito di un procedimento attivato da Delta TV nei confronti di Google Ireland Holdings, Google Inc, e Youtube LLC, in relazione alla diffusione di materiale audiovisivo protetto, è intervenuto sul delicato tema del bilancia-mento tra la tutela della proprietà intellettuale e la salvaguardia della libertà di espressione nella società dell’informazione; tema che involge un’ulteriore spinosa questione: la responsabilità degli internet service provider.
Delta TV, asserendo di essere esclusiva titolare dei diritti di sfruttamento economico di alcune telenovelas sudamericane, inclusa la versione italiana delle stesse, ed avendo rilevato la presenza di alcuni episodi delle medesime sui siti Youtube.it e .com, a seguito di formale diffida alle controparti, chiedeva, in sede cautelare, (i) la cancellazione o rimozione dei files relativi alle telenovelas; (ii) l’inibizione dell’ulteriore trasmissione o diffusione delle stesse e, infine (iii) l’imposizione di una penale, ex art. 156 l.d.a., per ogni inosservanza agli ordini di rimozione e di inibitoria.
Tali doglianze, inizialmente disattese dal Tribunale, trovavano tuttavia accoglimento nel successivo procedimento di reclamo, in occasione del quale i giudici torinesi hanno confermato l’orientamento nazionale e comunitario prevalente.
Nel ricercare il giusto equilibrio tra tutela della proprietà intellettuale e della libertà d’espressione, i giudici torinesi richiamano innanzitutto alcuni fondamentali principi dell’ordinamento comunitario  volti a delineare l’assetto delle responsabilità dei soggetti coinvolti nella prestazione dei servizi della  società dell’informazione:
- l’hosting provider è esente da responsabilità nella misura in cui svolga un’attività di tipo tecnico, automatico e passivo consistente, unicamente, nel fornire accesso ad una rete di comunicazione elettronica;
- l’hosting provider, appena ricevuta notizia dell’illecito, è tenuto ad attivarsi per la rimozione delle informazioni o per l’impedimento dell’accesso alle stesse;
- il ricorrere di ipotesi di limitazione di responsabilità non esclude la possibilità di azioni inibitorie;
- fermo il divieto di imporre all’hosting provider un obbligo di sorveglianza preventivo e generale, non è esclusa la possibilità di imporre obblighi di sorveglianza in casi specifici.  In proposito la giurisprudenza comunitaria ha precisato che pur potendosi pretendere dal provider che questi prevenga ulteriori future violazioni, non sono ammissibili provvedimenti che impongano, attraverso misure eccessivamente gravose, obblighi di controllo diretti a prevenire qualsiasi futura violazione dei diritti di proprietà intellettuale .
Il Tribunale, muovendo dai principi dianzi esposti, recepiti peraltro dall’ordinamento interno così come dalla prevalente giurisprudenza nazionale, ha compiuto un’analisi della figura dell’hosting provider che tenesse conto delle evoluzioni delle tecno-logie e delle strategie commerciali del settore.
L’hosting provider, infatti, è ben lungi oggi dall’essere una figura passiva e neutra rispetto all’organizzazione e alla gestione dei contenuti.  Il prestatore, e segnatamente Youtube, svolge un’attività finalizzata alla gestione complessiva dei contenuti caricati dagli utenti, i quali vengono riorganizzati, indirizzati e “suggeriti” ai singoli utenti di cui son tracciati i profili di consumo.  Tale attività – che costituisce il valore aggiunto del servizio di Youtube determinando un accrescimento degli introiti pubblicitari della piattaforma implica che il prestatore diventi portatore di una significativa potenzialità lesiva di diritti di terzi, con l’effetto che diventa necessaria una maggiore responsabilità a suo carico.  In tale ottica, dunque devono essere interpretate le norme sia comunitarie e nazionali.
Conseguentemente, secondo i giudici torinesi, avuto riguardo al caso di specie, deve ritenersi che sia del tutto legittimo un provvedimento che, in via cautelare, imponga al prestatore non solo di porre fine a violazioni già perpetrate, ma di prevenire anche nuove violazioni.  Segnatamente ben può esse-re imposto al prestatore l’obbligo di impedire nuovi caricamenti dei medesimi contenuti sulla propria piattaforma.  Ciò non si traduce infatti in un obbligo di sorveglianza preventivo e generale ma consiste in un intervento specifico, mirato su contenuti ben determinati e successivo ad una denuncia.  Inoltre tale intervento non risulterebbe neanche eccessivamente gravoso, stante la possibilità per il prestatore di utilizzare a tal fine il Content ID, tecnologia che consente agevolmente di individuare, attraverso un apposito software, i file lesivi dei diritti terzi.
Il Tribunale, dunque, accoglie l’istanza di reclamo avanzata da Delta Tv e ordina a Google Inc. e a Youtube LLC di rimuovere dalla piattaforma Youtube gli audiovisivi di cui agli URL comunicati da Delta TV; ordina loro di impedire l’ulteriore caricamento sulla piattaforma dei medesimi materiali impiegando a tal fine, a propria cura e spese, il software Content ID e utilizzando come references file i contenuti caricati ai predetti URL.  Rigetta invece la domanda cautelare nei confronti di Google Ireland Holdings .
L’ordinanza esaminata si colloca nel filone giurisprudenziale attualmente prevalente sia a livello comunitario che nazionale.
Rammentando la possibilità di enucleare tre diverse linee di pensiero che interpretano in maniera più o meno stringente la normativa vigente , la pronuncia considerata rientra nella corrente che ha tentato di risolvere  le problematiche afferenti la responsabilità del provider, creando la figura dell’hoster attivo.
La giurisprudenza, infatti, preso atto delle evoluzioni tecnologiche e delle strategie commerciali nella società dell’informazione, avuto particolare riguardo a provider come Youtube, è giunta a distinguere tra la figura dell’hosting provider “passivo” che effettivamente si limita ad una mera e neutra attività di intermediazione, e la figura  dell’hosting provider “attivo”, che di fatto svolge una significativa attività di organizzazione e gestione del materiale caricato dagli utenti, guadagnando dall’accrescimento degli introiti pubblicitari che tale attività di riorganizzazione e targettizzazione sulle abitudini dell’utente comporta .  Tale distinzione concettuale si traduce anche in una differente valutazione delle responsabilità attribuibili agli hosting provider.  E’ chiaro infatti che attività così significative come quelle descritte non potrebbero giustificare un’assenza o una significativa limitazione di responsabilità in capo al prestatore.
L’ordinanza in commento è conforme, inoltre, all’orientamento attualmente prevalente circa l’applicazione del principio per cui l’obbligo di rimozione sorge unicamente a fronte di una diffida specifica contenente cioè gli indirizzi compendiati in singoli URL.
Allo stesso modo, la suddetta pronuncia si pone in linea con la corrente predominante anche in relazione alla possibilità di imporre misure intese a prevenire la commissione di ulteriori illeciti.
Conformemente ai principi statuiti dalla Corte di Giustizia, in base ai quali non sono ammessi né obblighi di sorveglianza preventivi e generalizzati  né misure sproporzionate ed eccessivamente inique o costose, i giudici torinesi hanno ritenuto  che la finalità di prevenzione degli illeciti possa essere utilmente conseguita mediante l’impiego, da parte del provider, del software Content ID, utilizzando come references file i contenuti caricati agli URL indicati dal titolare dei diritti.
L’imposizione di tale misura non sembra che possa contrastare con i principi generali in materia, per essere la predetta circoscritta a specifici contenuti previamente determinati, e per essere altresì successiva rispetto ad una denuncia già effettuata.  Inoltre l’adempimento da parte del prestatore non sembra eccessivamente oneroso sul piano pratico: il prestatore, infatti, come si diceva innanzi, non è tenuto neanche a caricare i references file, già presenti sulla piattaforma in corrispondenza degli URL segnalati; né si ritiene che sia iniqua o sproporzionata la circostanza che siano posti a carico del prestatore i costi per l’espletamento della procedura qui indicata.

2014/09/28

ICT: new guidelines on child online protection

On September 2014, the International Telecommunication Union, the UNICEF and two United Nations agencies published the new guidelines on child online protection, for mobile operators, internet service providers, content providers, online retailers, app developers, social media providers, public service broadcasters, and operating system developers.
The purpose of the guidelines is to ensure the safety of children when using ICT technologies. 
Hence, companies have to focus on: (i) integrating child rights considerations into the corporate policies and management processes, (ii) developing standard processes to handle child sexual abuse material, (iii) creating a safer and age-appropriate online environment, (iv) appointing a qualified team as a responsible for the online child safety; (v) developing of notice and takedown procedures; (iv) educating children, parents, and teachers about children’s safety.