2013/04/02

Il web: luogo di satire e parodie

Il web diventa sempre più luogo di espressione della creatività e basta accedere ai principali siti che contengono video e immagini caricate dagli utenti per rendersi conto delle dimensioni di questo fenomeno.
Tra i numerosissimi video caricati dagli utenti non passano certamente inosservate le parodie che affollano il web; parodie caricate da giovanissimi utenti, ma sempre più spesso anche da professionisti.
Ma quali sono i limiti giuridici di questa espressione di creatività?
Innanzitutto definiamo che cosa deve intendersi per parodia.
Quest’ultima altro non è che una forma di satira e consiste nella rielaborazione creativa per finalità comiche di un’altra opera (ad esempio un film), al fine di suscitare ilarità.
In linea generale l’attività parodistica è giudicata lecita e l’opera in cui si concreta è considerata indipendente rispetto all’opera parodiata e, come tale, suscettibile di tutela secondo le norme del diritto d’autore.
Si ritiene, infatti, che la parodia, in ragione dello stravolgimento concettuale che realizza, nonché delle finalità comiche che si prefigge, costituisca un’opera nuova, non suscettibile di ledere, in alcun modo, l’autore dell’opera parodiata. E ciò quand’anche la parodia sia frutto di un contributo creativo di modesta entità.
Ciò che si osserva, infatti, è che le condizioni innanzi accennate escludono ogni possibilità di concorrenza con l’opera parodiata, rivolgendosi talora anche ad un pubblico differente. In sostanza, anche se la parodia si giova dell’avviamento conseguito dalla preventiva diffusione dell’opera parodiata, allo stesso tempo non le sottrae mercato.
Quindi, quand’è che la parodia diventa illecita?
La parodia diventa illecita, fondamentalmente, quando non presenti lo stravolgimento concettuale che tipicamente la contraddistingue oppure quando contenga un attacco alla personalità dell’autore o, comunque, una sua denigrazione. Esattamente come avviene per la satira in senso stretto, la parodia non deve attribuire fatti non veri alle persone citate, non deve contenere insulti diretti o indiretti e non deve ironizzare su particolari della vita privata che non presentino implicazioni rilevanti tenuto conto delle eventuali cariche pubbliche rivestite dal personaggio.

2013/03/04

Il contratto di bartering

In un periodo di crisi economica come quello che stiamo vivendo anche in un settore ricco come quello televisivo può essere utile ricorrere a strumenti contrattuali che consentano, specialmente, agli operatori di minori dimensioni e a quelli emergenti di ottimizzare la propria attività imprenditoriale.
In tale ottica va senz’altro menzionato il contratto di bartering, sviluppatosi in tempi relativamente recenti negli Stati Uniti, e suscettibile di acquisire contenuti particolari a seconda delle concrete esigenze.
Immaginiamo un’ipotesi molto semplice che coinvolga un produttore indipendente ed un’emittente televisiva di piccole dimensioni.
Ricorrendo a tale schema, il produttore potrà realizzare un programma, inserendo liberamente al suo interno i messaggi pubblicitari, per poi cederlo ad una emittente in cambio del servizio di diffusione della pubblicità.
Si realizza quindi un vero e proprio scambio tra cessione dei diritti di diffusione del programma ed acquisto di spazi nel palinsesto dell’emittente.
Questa operazione presenta evidenti vantaggi per tutti i soggetti coinvolti.
Per un verso, infatti, l’emittente può implementare il proprio palinsesto ottenendo programmi a costo zero; e per altro verso il produttore può accrescere la propria visibilità e le proprie “chance” di lavoro.
In tale ottica, il contratto di bartering può senza dubbio rappresentare un’opportunità di crescita per tutti quegli operatori, giovani ma non solo, che abbiano voglia di sperimentare le proprie capacità, di implementare il proprio bagaglio professionale e di affermarsi su un mercato che ha bisogno più che mai di idee nuove.

2013/02/01

Publiredazionale: quando è lecito?

La scelta di concludere un contratto per la realizzazione di un redazionale pubblicitario non sempre è accompagnata dalla consapevolezza delle criticità che caratterizzano tale forma promozionale e della necessità di adottare opportuni accorgimenti sia in sede contrattuale sia in sede esecutiva.
Peculiarità dei redazionali pubblicitari è infatti la promozione di un brand, un prodotto o un servizio in un contesto tipicamente editoriale: si pensi ad un articolo giornalistico o ad un blog. In sostanza si tratta di un vero e proprio “travestimento”: la comunicazione commerciale si traveste da comunicazione “informativa”, sicché il contenuto pubblicitario ed il contenuto editoriale tendono a fondersi sino a diventare, talvolta, un unicum non scindibile.
Ma è proprio questa caratteristica del publiredazionale che fa scattare l’allarme.
Una forma promozionale che si confonde con il contenuto editoriale contrasta, evidentemente, con le norme che impongono, sia a livello legislativo che regolamentare, la riconoscibilità e la trasparenza delle comunicazioni commerciali, ponendosi, dunque, ai confini della pubblicità occulta. Ed il rischio di illiceità appare tanto più alto quanto più la comunicazione promozionale appare non distinguibile dal contesto editoriale in cui è inserita; ossia quanto più l’elogio del brand, del prodotto o del servizio appare frutto dell’opinione e dei gusti del blogger o del giornalista.
Pertanto affinché il publiredazionale sia lecito occorre che, ferme restando le peculiarità di tale forma promozionale, il pubblico sia messo in condizione di percepire il carattere promozionale delle informazioni ricevute, mediante l’impiego di idonei accorgimenti di carattere stilistico e grafico.
E di tali misure si dovrà, ovviamente, tenere conto nella stesura del regolamento contrattuale tra impresa committente ed editore. È chiaro, infatti, che se i redazionali pubblicitari sono ai limiti dell’illecito, i contratti sottostanti rischiano di essere nulli per contrarietà alle norme di legge e, segnatamente, per violazione del divieto di pubblicità occulta.

2013/01/15

Le caratteristiche del contratto di concessione pubblicitaria

Con il contratto di concessione pubblicitaria, un soggetto (il concedente) affida ad un altro soggetto (il concessionario) l’attività di ricerca e la conclusione dei contratti per la diffusione di pubblicità sul proprio mezzo di diffusione. Ciò a fronte di un corrispettivo rappresentato generalmente da una percentuale del fatturato prodotto dalla conclusione dei contratti con gli inserzionisti.
Nonostante i tentativi operati da dottrina e giurisprudenza, il contratto di concessione pubblicitaria non può essere ricondotto ad uno schema tipico disciplinato dal codice civile e ciò determina una maggiore autonomia delle parti nella determinazione del contenuto contrattuale, fatta salva, naturalmente, l’applicazione delle norme inderogabili di legge.
Sovente il contratto di concessione è caratterizzato dalla previsione di vincoli di esclusiva a carico di una o di entrambe le parti. Si potrà dunque prevedere che il concedente non possa rivolgersi ad altre società per la raccolta di pubblicità oppure che il concessionario non possa acquisire incarichi da imprese concorrenti della concedente. I vincoli di esclusiva, naturalmente, possono essere modellati diversamente a seconda dei casi pattuendo condizioni più o meno stringenti ed incisive. Allo stesso modo potrebbero essere introdotte delle deroghe: per esempio si potrebbe prevedere l’applicazione dell’esclusiva soltanto in relazione alla pubblicità di determinate tipologie di prodotti o servizi, oppure potrebbe essere applicata alla pubblicità nazionale ma non anche alla pubblicità locale. Il mancato rispetto del vincolo di esclusiva, tipicamente, è sanzionato dalla risoluzione del contratto o dal pagamento di penali.
Un profilo senz’altro importante è rappresentato dalla individuazione delle tariffe per la vendita di pubblicità agli inserzionisti da parte del concessionario. Sotto tale aspetto è possibile ravvisare diverse soluzioni nella prassi contrattuale. In taluni casi, infatti, è possibile trovare condizioni molto rigide caratterizzate dalla predeterminazione nel contratto di concessione delle tariffe applicabili, mentre in altri casi è lasciata maggiore discrezionalità alla concessionaria che potrà negoziare al meglio i contratti. Naturalmente tra le due opzioni possono essere individuate soluzioni “mediane”, ritagliate sulle esigenze e sulla politica delle imprese coinvolte.
Con il contratto di concessione se da un lato la concessionaria si obbliga a concludere contratti con gli inserzionisti, dall’altro la concedente assume l’obbligo di dare esecuzione a tali contratti. Tuttavia quest’ultima potrebbe riservarsi il potere di rifiutare di veicolare sul proprio mezzo di diffusione quei messaggi che per il contenuto o che per la natura degli inserzionisti siano in contrasto con la legge, l’ordine pubblico, il buon costume o, più semplicemente, con la propria politica aziendale. Tale condizione rappresenta, evidentemente, una cautela per la concedente che rischierebbe di incorrere in responsabilità anche gravi qualora diffondesse messaggi pubblicitari che per qualsiasi ragione siano da considerare in contrasto con la legge.
In ordine al corrispettivo spettante alla concessionaria per l’attività svolta, normalmente, esso consiste nella corresponsione di una percentuale sul fatturato derivante dalla conclusione dei contratti con gli inserzionisti; percentuale sovente pari ad un terzo dei ricavi con versamento su base, spesso, mensile o trimestrale. Cosa succede se l’inserzionista non paga? Generalmente il rischio è distribuito sul concedente e sul concessionario in proporzione alle quote di ciascuno.

2012/11/29

Internet: quale tutela per i minori?

Lo sviluppo di internet ha posto un ulteriore problema che attiene alla tutela dei minori. La libertà di manifestazione del pensiero attraverso tutti i mezzi di comunicazione e informazione, e dunque anche attraverso internet, incontra il limite della tutela dei minori, sancito dall’articolo 31 della Costituzione.
Con riferimento alla lotta contro la pedopornografia in internet, la legge 3 agosto 1998 n. 269 ha introdotto come apposita fattispecie criminosa quella di colui che con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, divulga e pubblicizza materiale pedopornografico ovvero divulga informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale degli stessi.
La medesima legge ha individuato inoltre i mezzi per contrastare tale fenomeno: in particolare, ha previsto che, su richiesta dell’autorità giudiziaria, il personale addetto a garantire la sicurezza e la regolarità dei servizi di telecomunicazione presso il Ministero dell’Interno possa utilizzare indicazioni di copertura, anche per attivare siti nelle reti, realizzare o gestire aree di comunicazione o scambio su reti o sistemi telematici ovvero per partecipare ad esse.
A ciò si aggiunga, in considerazione dell’ultraterritorialità delle comunicazioni telematiche, la disposizione concernente il fatto commesso all’estero: la disciplina contenuta in detta legge si applica anche quando si tratti di delitto commesso all’estero da cittadino italiano, o in danno di cittadino italiano, o da cittadino straniero in concorso con cittadino italiano; in quest’ultima ipotesi, però, con la precisazione che il cittadino straniero è punibile quando si tratta di delitto per il quale è prevista la pena della reclusione non inferire a cinque anni.
La disciplina per il contrasto alla pedopornografia in internet è stata ulteriormente rafforzata dalla legge di modifica 6 febbraio 2006 n. 38.
Quest’ultima ha istituito presso il Ministero dell'interno il Centro nazionale per il contrasto della pedopornografia su internet, al fine di raccogliere tutte le segnalazioni riguardanti siti che diffondono materiale concernente l'utilizzo sessuale dei minori.
Inoltre sono stati previsti specifici obblighi a carico dei fornitori di servizi della società dell’informazione: essi hanno un obbligo di segnalazione al Centro, qualora ne vengano a conoscenza, di qualsiasi soggetto che, a qualunque titolo, diffonda, distribuisca o faccia commercio di materiale pedopornografico.
I medesimi fornitori, al fine di impedire l'accesso ai siti segnalati dal Centro, sono obbligati ad utilizzare gli strumenti di filtraggio e le relative soluzioni tecnologiche conformi ai requisiti individuati con decreto del Ministro dello Sviluppo economico, di concerto con il Ministro per l'innovazione e le tecnologie e sentite le associazioni maggiormente rappresentative dei fornitori di connettività.
La tutela dei minori in internet rileva anche sotto un altro aspetto: l’accesso a contenuti destinati ad un pubblico esclusivamente adulto.
Al riguardo, il decreto legislativo 9 maggio 2001, n. 269 ha previsto la predisposizione di un nuovo Codice Media e minori, recante misure autoregolamentari applicabili non solo al settore televisivo, ma anche ai videogiochi, alla telefonia e, appunto, ad internet.
Attualmente esiste, accanto al Codice Tv e Minori, un codice di autoregolamentazione approvato dal Ministero dello Sviluppo economico nel 2003 e predisposto da alcune associazioni di internet providers.
Tale codice fornisce una serie di indicazioni vincolanti gli internet provider aderenti; tali prescrizioni attengono in particolare alla messa a disposizione di servizi di navigazione differenziata e di classificazione dei contenuti ad accesso condizionato, nonché all’impiego di identificatori d’età, al fine di evitare l’accesso dei minori a programmi ad essi inadatti; e da ultimo il rispetto di idonee misure volte a garantire la tutela della privacy, salvaguardando altresì i minori dai rischi della pedopornografia.

2012/11/15

Agenda digitale europea: novità in materia di diritto d’autore


L’evoluzione dei modelli di business e la crescente autonomia dei consumatori in ambito digitale impongono un costante monitoraggio della normativa vigente in tema di diritto d’autore, al fine di verificarne l’adeguatezza in relazione alla tutela degli interessi di tutti i soggetti coinvolti (titolare dei diritti, utilizzatore, consumatore).
La Commissione europea ha recentemente rilevato l’opportunità di un proprio intervento volto ad aggiornare ed armonizzare il quadro normativo vigente in materia.
Com’è noto, qualora si presti un servizio che comprende lo sfruttamento dell’opera protetta di un autore, come ad esempio un brano musicale, è necessario ottenere un’apposita licenza da parte dei titolari dei diritti (autori, interpreti o esecutori, produttori). Ed in alcuni settori, come in quello musicale, le società di gestione collettiva dei diritti svolgono un ruolo cruciale: esse, infatti, forniscono servizi sia ai titolari dei diritti sia agli utilizzatori, occupandosi tra l’altro della concessione di licenze, della gestione dei proventi dei diritti, dei pagamenti dovuti ai titolari dei diritti e l’esecuzione dei diritti stessi.
La Commissione si propone, dunque, innanzitutto di far sì che la gestione collettiva dei diritti divenga più efficace, accurata, trasparente e responsabile; e ciò in ragione del forte impatto che l’attività di tali società ha sullo sfruttamento dei diritti d’autore. Non si può ignorare, infatti, la preoccupazione destata da talune società in ambito europeo in relazione alla scarsa trasparenza e alla inefficienza manifestata nei rapporti, soprattutto economici, con i titolari dei diritti. Ciò che si traduce in un impatto fortemente negativo sul mercato.
Di qui l’obiettivo della Commissione di regolamentare in maniera puntuale e rigorosa l’organizzazione di tali società nonché l’adesione alle stesse basata su criteri rigorosamente oggettivi. Particolarmente rilevante, inoltre, è l’insieme di norme tese a garantire una gestione finanziaria efficace e trasparente: in tale ottica la Commissione propone, per un verso, che le entrate riscosse in seguito allo sfruttamento dei diritti rappresentati siano distinte dalle attività della società e siano gestite nel rispetto di condizioni rigorose e, per altro verso che le società di gestione paghino gli importi dovuti ai titolari dei diritti in maniera accurata e tempestiva.
Altrettanto fondamentale è la previsione di obblighi di informazione, tra cui rilevano in particolare: l’obbligo di informare i titolari dei diritti sugli importi riscossi e pagati, nonché sulle spese di gestione addebitate; l’obbligo di fornire tutte le informazioni richieste dai titolari dei diritti, da altre società e dagli utilizzatori; ed infine l’obbligo di pubblicare una relazione di trasparenza annuale ed i documenti di bilancio.
In secondo luogo, la Commissione mira a costruire, in ragione dello sviluppo di un mercato unico dei contenuti culturali online, un regime delle licenze sui diritti d’autore più agevole ed efficace, con particolare riguardo alle opere musicali in ambito transfrontaliero.
La frammentarietà territoriale dei servizi musicali online è accompagnata, infatti, da una frammentazione del mercato europeo con conseguente pregiudizio, da un lato, delle potenzialità
delle licenze in termini di portata geografica e compenso e, dall’altro, della fruibilità dei repertori musicali. Di qui, pertanto, l’intento di facilitare la concessione di licenze multi-territoriali da parte di società di gestione collettive per i diritti d’autore su opere musicali per la fornitura di servizi online. Ciò purché le società di gestione abbiano la capacità di trattare in modo efficace e trasparente i dati necessari per lo sfruttamento delle licenze, nonché di controllare l’utilizzo effettivo delle opere coperte dalle licenze e siano, infine, in grado di garantire pagamenti tempestivi ai titolari dei diritti.
La proposta di direttiva sopra esaminata rappresenta un passo molto importante nella revisione della disciplina del settore e, come era ragionevole attendersi, ha suscitato un acceso dibattito tra tutti i protagonisti coinvolti - in primis le società di gestione collettiva - ma l’ultima parola resta al Parlamento e al Consiglio Europeo che dovranno esprimere, nei mesi a venire, la loro approvazione.

DDL Diffamazione: un sospiro di sollievo per i blogger

Ancora una volta salvi! Il disegno di legge sulla diffamazione aveva fatto tremare nuovamente i blogger, per il timore di veder loro estese le norme previste per la diffamazione a mezzo stampa.
Tutti concordiamo sull’idea che talune attività svolte in internet debbano essere opportunamente regolamentate per la sicurezza degli utenti, ma c’è una sfera in cui occorre muoversi con prudenza, ossia quella della libertà di manifestazione del pensiero.
E la sensazione che si avverte è che la nostra società non sia ancora matura per una regolamentazione efficace ed equilibrata di tale ambito.
Non solo devono considerarsi le difficoltà connesse alla individuazione di un regime che tenga conto delle diverse esigenze di un mondo così variegato come quello dei blog e dei siti affini, ma più di tutto non può ignorarsi il rischio di un asservimento della disciplina legislativa a logiche estranee al mondo dell’informazione ed il rischio, ancor più grave, di una sua strumentalizzazione in fase applicativa; strumentalizzazione che, di fatto, potrebbe in taluni casi portare ad una vera e propria repressione della libertà di pensiero.
I blog rappresentano uno strumento di democrazia e, come tali dunque, devono essere improntati ad un regime di libertà. “Ogni persona ha diritto alla libertà d'espressione. E tale diritto include la libertà d'opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza considerazione di frontiera”. Questo è quanto statuito dall’articolo 10 della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo e questi sono i principi fondamentali cui, necessariamente, deve essere orientato il nostro ordinamento.
Con ciò non si vuol sostenere che la democrazia nella rete debba tradursi in anarchia: l’esercizio di queste libertà, infatti, comporta “doveri e responsabilità”, come recita lo stesso articolo innanzi citato. Doveri e responsabilità che si traducono, innanzitutto, nel rispetto della privacy e della reputazione altrui.
Il concetto di democrazia in internet trova, infatti, una duplice declinazione: libertà di pensiero e rispetto dei diritti dei terzi. Come conciliare e bilanciare queste esigenze?
La soluzione, intuitivamente, prima che legislativa è innanzitutto culturale; una soluzione che probabilmente richiede uno sforzo ben maggiore, ma che senza dubbio reca in sé un importante valore aggiunto in termini di crescita sociale.
In quest’ottica dovrebbe essere incentivato maggiormente anche il ricorso a codici di autodisciplina. Non mancano infatti esempi in cui l’autonomia e l’autoregolamentazione hanno condotto a risultati soddisfacenti, e ciò nella misura in cui sono riuscite a promuovere una vera e propria responsabilizzazione dei singoli.
L’intervento del legislatore sarà, dunque, ben accetto soltanto ove dettato da un bisogno imperativo che lo renda imprescindibile e purché contenuto nei limiti codificati dalla precitata Convezione; e ciò affinché si possa approdare ad un sistema di regole coerente ed equilibrato che, frutto di una intensa e mirata attività di studio e approfondimento, tenga conto di tutte le esigenze e di tutti gli interessi in gioco.