Delta TV, asserendo di essere esclusiva titolare dei diritti di sfruttamento economico di alcune telenovelas sudamericane, inclusa la versione italiana delle stesse, ed avendo rilevato la presenza di alcuni episodi delle medesime sui siti Youtube.it e .com, a seguito di formale diffida alle controparti, chiedeva, in sede cautelare, (i) la cancellazione o rimozione dei files relativi alle telenovelas; (ii) l’inibizione dell’ulteriore trasmissione o diffusione delle stesse e, infine (iii) l’imposizione di una penale, ex art. 156 l.d.a., per ogni inosservanza agli ordini di rimozione e di inibitoria.
Tali doglianze, inizialmente disattese dal Tribunale, trovavano tuttavia accoglimento nel successivo procedimento di reclamo, in occasione del quale i giudici torinesi hanno confermato l’orientamento nazionale e comunitario prevalente.
Nel ricercare il giusto equilibrio tra tutela della proprietà intellettuale e della libertà d’espressione, i giudici torinesi richiamano innanzitutto alcuni fondamentali principi dell’ordinamento comunitario volti a delineare l’assetto delle responsabilità dei soggetti coinvolti nella prestazione dei servizi della società dell’informazione:
- l’hosting provider è esente da responsabilità nella misura in cui svolga un’attività di tipo tecnico, automatico e passivo consistente, unicamente, nel fornire accesso ad una rete di comunicazione elettronica;
- l’hosting provider, appena ricevuta notizia dell’illecito, è tenuto ad attivarsi per la rimozione delle informazioni o per l’impedimento dell’accesso alle stesse;
- il ricorrere di ipotesi di limitazione di responsabilità non esclude la possibilità di azioni inibitorie;
- fermo il divieto di imporre all’hosting provider un obbligo di sorveglianza preventivo e generale, non è esclusa la possibilità di imporre obblighi di sorveglianza in casi specifici. In proposito la giurisprudenza comunitaria ha precisato che pur potendosi pretendere dal provider che questi prevenga ulteriori future violazioni, non sono ammissibili provvedimenti che impongano, attraverso misure eccessivamente gravose, obblighi di controllo diretti a prevenire qualsiasi futura violazione dei diritti di proprietà intellettuale .
Il Tribunale, muovendo dai principi dianzi esposti, recepiti peraltro dall’ordinamento interno così come dalla prevalente giurisprudenza nazionale, ha compiuto un’analisi della figura dell’hosting provider che tenesse conto delle evoluzioni delle tecno-logie e delle strategie commerciali del settore.
L’hosting provider, infatti, è ben lungi oggi dall’essere una figura passiva e neutra rispetto all’organizzazione e alla gestione dei contenuti. Il prestatore, e segnatamente Youtube, svolge un’attività finalizzata alla gestione complessiva dei contenuti caricati dagli utenti, i quali vengono riorganizzati, indirizzati e “suggeriti” ai singoli utenti di cui son tracciati i profili di consumo. Tale attività – che costituisce il valore aggiunto del servizio di Youtube determinando un accrescimento degli introiti pubblicitari della piattaforma implica che il prestatore diventi portatore di una significativa potenzialità lesiva di diritti di terzi, con l’effetto che diventa necessaria una maggiore responsabilità a suo carico. In tale ottica, dunque devono essere interpretate le norme sia comunitarie e nazionali.
Conseguentemente, secondo i giudici torinesi, avuto riguardo al caso di specie, deve ritenersi che sia del tutto legittimo un provvedimento che, in via cautelare, imponga al prestatore non solo di porre fine a violazioni già perpetrate, ma di prevenire anche nuove violazioni. Segnatamente ben può esse-re imposto al prestatore l’obbligo di impedire nuovi caricamenti dei medesimi contenuti sulla propria piattaforma. Ciò non si traduce infatti in un obbligo di sorveglianza preventivo e generale ma consiste in un intervento specifico, mirato su contenuti ben determinati e successivo ad una denuncia. Inoltre tale intervento non risulterebbe neanche eccessivamente gravoso, stante la possibilità per il prestatore di utilizzare a tal fine il Content ID, tecnologia che consente agevolmente di individuare, attraverso un apposito software, i file lesivi dei diritti terzi.
Il Tribunale, dunque, accoglie l’istanza di reclamo avanzata da Delta Tv e ordina a Google Inc. e a Youtube LLC di rimuovere dalla piattaforma Youtube gli audiovisivi di cui agli URL comunicati da Delta TV; ordina loro di impedire l’ulteriore caricamento sulla piattaforma dei medesimi materiali impiegando a tal fine, a propria cura e spese, il software Content ID e utilizzando come references file i contenuti caricati ai predetti URL. Rigetta invece la domanda cautelare nei confronti di Google Ireland Holdings .
L’ordinanza esaminata si colloca nel filone giurisprudenziale attualmente prevalente sia a livello comunitario che nazionale.
Rammentando la possibilità di enucleare tre diverse linee di pensiero che interpretano in maniera più o meno stringente la normativa vigente , la pronuncia considerata rientra nella corrente che ha tentato di risolvere le problematiche afferenti la responsabilità del provider, creando la figura dell’hoster attivo.
La giurisprudenza, infatti, preso atto delle evoluzioni tecnologiche e delle strategie commerciali nella società dell’informazione, avuto particolare riguardo a provider come Youtube, è giunta a distinguere tra la figura dell’hosting provider “passivo” che effettivamente si limita ad una mera e neutra attività di intermediazione, e la figura dell’hosting provider “attivo”, che di fatto svolge una significativa attività di organizzazione e gestione del materiale caricato dagli utenti, guadagnando dall’accrescimento degli introiti pubblicitari che tale attività di riorganizzazione e targettizzazione sulle abitudini dell’utente comporta . Tale distinzione concettuale si traduce anche in una differente valutazione delle responsabilità attribuibili agli hosting provider. E’ chiaro infatti che attività così significative come quelle descritte non potrebbero giustificare un’assenza o una significativa limitazione di responsabilità in capo al prestatore.
L’ordinanza in commento è conforme, inoltre, all’orientamento attualmente prevalente circa l’applicazione del principio per cui l’obbligo di rimozione sorge unicamente a fronte di una diffida specifica contenente cioè gli indirizzi compendiati in singoli URL.
Allo stesso modo, la suddetta pronuncia si pone in linea con la corrente predominante anche in relazione alla possibilità di imporre misure intese a prevenire la commissione di ulteriori illeciti.
Conformemente ai principi statuiti dalla Corte di Giustizia, in base ai quali non sono ammessi né obblighi di sorveglianza preventivi e generalizzati né misure sproporzionate ed eccessivamente inique o costose, i giudici torinesi hanno ritenuto che la finalità di prevenzione degli illeciti possa essere utilmente conseguita mediante l’impiego, da parte del provider, del software Content ID, utilizzando come references file i contenuti caricati agli URL indicati dal titolare dei diritti.
L’imposizione di tale misura non sembra che possa contrastare con i principi generali in materia, per essere la predetta circoscritta a specifici contenuti previamente determinati, e per essere altresì successiva rispetto ad una denuncia già effettuata. Inoltre l’adempimento da parte del prestatore non sembra eccessivamente oneroso sul piano pratico: il prestatore, infatti, come si diceva innanzi, non è tenuto neanche a caricare i references file, già presenti sulla piattaforma in corrispondenza degli URL segnalati; né si ritiene che sia iniqua o sproporzionata la circostanza che siano posti a carico del prestatore i costi per l’espletamento della procedura qui indicata.